A Milano

Alla Scala Symphony in C di Balanchine e due debutti made in Italy: Shéhérazade di Eugenio Scigliano e La Valse di Stefania Ballone, Matteo Gavazzi e Marco Messina

Al Teatro alla Scala di Milano, dal 19 aprile al 13 maggio 2017, un trittico di coreografie con Symphony in C di George Balanchine con Roberto Bolle in scena per quattro recite, e due prime assolute made in Italy per il ballo scaligero: Shéhérazade di Eugenio Scigliano e La Valse, affidata a Stefania Ballone, Matteo Gavazzi e Marco Messina.

Dal 19 . 04 . 2017 al 13 . 05 . 2017

Milano - Teatro alla Scala

Al Teatro alla Scala di Milano, dopo Serata Stravinskij, anche il trittico in scena dal 19 aprile al 13 maggio 2017 rinnova il connubio fra danza, partiture importanti e importante direzione d’orchestra. Paavo Järvi sul podio, al suo debutto in un balletto alla Scala, in una serata che affianca a Symphony in C di George Balanchine due prime assolute, due creazioni, italiane, per il Corpo di Ballo scaligero: Shéhérazade, di Eugenio Scigliano, che ha già dato prova di qualità artistiche ed espressive con diverse compagnie italiane e non solo, e La Valse, affidata a Stefania Ballone, Matteo Gavazzi e Marco Messina, artisti del ballo con già all’attivo alcune esperienze coreografiche. Il fascino dell’Oriente, di Le mille e una notte, ispirazione per la suite sinfonica di Rimskij-Korsakov; il fascino di Vienna e dei valzer, unite per Ravel a “l’impressione di un volteggiare fantastico e fatale”: straordinarie partiture, catturate dalla danza fin dall’inizio del ‘900, che continuano ad offrire ispirazione alla scrittura coreografica.

Eugenio Scigliano con la sua versione di Shéhérazade porta ad un oggi la musica di Rimskij-Korsakov e la traccia narrativa del primo balletto su di essa creato, nel 1910 da Fokin con allestimento di Bakst, concentrando nella figura di Zobeide l’attualizzazione di una storia fatta di sottomissione e sopruso, di amore e sensualità. L’imponente cromatismo, la forte capacità evocativa dei temi della suite sinfonica, utilizzata integralmente (nel 1910 furono usati solo tre dei quattro movimenti) ispirano una danza altrettanto sfaccettata; asciugati esotismo e aspetti aneddotici, si punta all’essenza simbolica di quei personaggi e dei loro destini. La condizione della donna, la sopraffazione e la negazione dei sentimenti, la violenza come strumento di potere, temi dalle risonanze tragiche nella realtà storica e attuale; l’ambientazione esotica lascia il passo a un uso ‘drammatico’ e simbolico della luce; i lussureggianti colori a tinte essenziali, sabbiate, e a tinte cupe che riflettono il nero della notte e del mistero, ma anche cordoglio, vendetta e tristezza. Così, anche Zobeide e lo Schiavo d’Oro diventano simboli: di un sentimento vero, intenso, al di là delle condizioni sociali, che vive nascosto per non essere soffocato, imprigionato in un carcere di norme e riti inamovibili. Emozioni che innervano la danza per trasmettere l’innocenza di un sentimento puro, l’angoscia della violenza, la cecità della gelosia, l’indomita forza delle passioni, l’eterno femminino che riesce a sovrastare l’orrore e la follia degli uomini.

 

I Ballets Russes, Djagilev, Ida Rubinstein (la prima Zobeide) incrociano anche il destino di La Valse: Ravel inizia a concepire l’idea di una specie di omaggio a Johann Strauss figlio dal 1906. Nel 1914 il lavoro, Wien, avrebbe dovuto essere un «poema sinfonico»; soltanto nel 1919-20 Ravel realizzò il progetto, su commissione di Djagilev, con il titolo La valse e la definizione di «poema coreografico». Djagilev ricusò la partitura non considerandola adatta come balletto e questo provocò la rottura tra Ravel e l’impresario russo. La prima esecuzione fu in forma di concerto a Parigi nel 1920; solo nel 1929 la compagnia di Ida Rubinstein ne propose la messa in scena su coreografia di Bronislava Nijinska. In epigrafe alla partitura Ravel traccia lo scenario: «Nubi turbinose lasciano intravedere, a squarci, coppie che danzano il valzer. A poco a poco le nubi si dissolvono: si ravvisa una sala immensa, popolata d’una folla vorticante. La scena si fa via via più nitida. Al fortissimo brilla improvvisa la luce dei lampadari. Una corte imperiale, 1855 circa». Gli echi della Prima Guerra Mondiale appena conclusa risuonano nella partitura, il folle turbinare del valzer, l’inconsapevole e inebriante levità della danza sull’orlo del baratro suggeriscono una tragica metafora della vita.

Dopo aver vagliato infinite possibilità per comporre “a sei mani” La Valse per i colleghi scaligeri (pur concedendosi ciascuno un breve quadro autonomo), Stefania Ballone, Matteo Gavazzi e Marco Messina hanno trovato nella partitura, nelle sue dinamiche, nel mondo e nelle atmosfere evocate, il punto di partenza e di arrivo. Un mondo, circoscritto, che rimanda solo nei costumi e nei cromatismi agli anni Venti del Novecento. Lo spazio scenico si avviluppa su se stesso e la forte dicotomia insita nella partitura si riflette in ombre e luci, chiari e scuri, un’entità maschile e una femminile, simbolicamente poli opposti e complementari accanto alle individualità che si muovono in scena sviluppandosi in gruppi dalle mutevoli forme e strutture.

 

Dovete vedere la musica e sentire la danza. Sono parole di George Balanchine: al centro di questa serata Symphony in C, grande esempio del suo genere “concertante”, strettamente integrato alla musica, senza trama ma non senza espressività, toni e atmosfere. Bizet compose la Sinfonia n.1 in Do maggiore ancora allievo diciassettenne di Charles Gounod al Conservatorio di Parigi. Il manoscritto, dimenticato per decenni, fu pubblicato dopo essere stato rinvenuto nel 1933 nella biblioteca del Conservatorio. Balanchine seppe da Stravinskij di questa partitura scomparsa; nel 1947 in due settimane ne creò un balletto, Le Palais de Cristal, per l’Opera di Parigi di cui era maître ospite. L’anno successivo, per il New York City Ballet, semplificò scene e costumi e cambiò il titolo. Esaltazione della purezza classica, meravigliose geometrie, simmetrie e forme, nei quattro movimenti, che vedono protagonisti ognuno una diversa ballerina, un diverso partner e il corpo di ballo. L’intero organico di circa cinquanta elementi si riunisce nel travolgente finale. Alla Scala nel 1955, nel 1960 e nel 1987 vide i nomi di spicco del tempo, e anche ora sarà una vera vetrina per il Corpo di Ballo, i primi ballerini, i solisti, e non solo: in scena infatti per quattro recite anche la nostra étoile Roberto Bolle (19 e 21 aprile; 10 maggio serale e 11 maggio 2017).

 

Lo spettacolo è in scena il 19, 21, 27 e 28 aprile 2017 e il 4 (2 rappresentazioni), 10 (2 rappresentazioni), 11 e 13 maggio 2017.

Per saperne di più, appuntamento martedì 11 aprile alle ore 18 per il consueto appuntamento Prima delle prime Balletto, che vedrà ospite Patrizia Veroli: al Ridotto dei Palchi “A. Toscanini”  nell’incontro dal titolo Sulla scia dei Balletti Russi, tre classici del Novecento.

www.teatroallascala.org 

Foto: 1.-8. Shéhérazade di Eugenio Scigliano, prove in sala, Teatro alla Scala, ph. Marco Brescia & Rudy Amisano; 9. Eugenio Scigliano, ph. Dario Lasagni; 10.Roberto Bolle, sala prove Teatro alla Scala, ph. Marco Brescia & Rudy Amisano; 11.-18. La Valse di Stefania Ballone, Matteo Gavazzi e Marco Messina, prove in sala, Teatro alla Scala, ph. Marco Brescia & Rudy Amisano; 19. Marco Messina, Matteo Gavazzi, Stefania Ballone; 20. Paavo Jaervi ph Brescia e Amisano.

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