La recensione

CollettivO CineticO al #REf17: applausi per Benvenuto Umano, ultimo lavoro di Francesca Pennini

Benvenuto Umano, ultima creazione di Francesca Pennini e del suo CollettivO CineticO, chiude il progetto decennale C/o dedicato all’esplorazione dell’arte performativa e ispirato alle eterotopie di Foucault. Denso di simboli e riferimenti che vanno dall’arte alla medicina tradizionale cinese, Benvenuto Umano è un’acrobazia coreografica che sospende la linearità del tempo e che gioca con le geometrie dello spazio. Decolla lentamente e poi lo fa con certezza, convincendo per lucidità registica, chiarezza estetica, carisma interpretativo. Applausi dal Teatro Vascello per la coreografa ferrarese e per gli ottimi performer del CollettivO.

Francesca Pennini è artista affascinante, giocoliera di un mondo in bilico tra la verità e l’incertezza, la casualità e il rischio. Da dieci anni al volante di una macchina superveloce (il CollettivO CineticO, nato dalla collaborazione con il dramaturg Angelo Pedroni e con oltre 50 artisti provenienti da diverse discipline), la coreografa ferrarese viaggia lungo le vie e le frontiere del corpo secondo una segnaletica del tutto nuova, che incrocia simboli e neologismi, sentieri secolari e superstrade del futuro.

Il suo 10 miniballetti, creato nel 2015, ha generato non solo l’unanime consenso della critica e del pubblico, ma anche l’esplosione oltre i confini nazionali, garantendole nel 2016 il sostegno del network europeo Aerowaves. Ma a conferma della solida presenza di Francesca Pennini sulla scena contemporanea basta il calendario degli ultimi mesi, che l’hanno vista protagonista, come coreografa e interprete, nella fitta tournée di Sylphidarium (lavoro del 2016) e come autrice di un nuovo Boléro (su musica di Maurice Ravel) per la compagnia del Balletto di Roma (luglio 2017).

Nei video, brevissimi estratti da 10 miniballetti e da Sylphidarium.

Contemporaneamente, in questi mesi, Pennini già creava il suo ultimo lavoro Benvenuto Umano, che dopo il debutto al Teatro Comunale di Ferrara e la replica a Modena nell’ambito di Vie Festival, è andato in scena il 21 e 22 ottobre 2017 al Teatro Vascello di Roma nell’ambito del Romaeuropa Festival 2017: un titolo accogliente a chiusura di un cerchio, tra le bandiere d’arrivo di una corsa decennale in cui il corpo ha trionfato sui propri paradossi. Lo spettacolo chiude il progetto C/o inaugurato, per l’appunto, nel 2007: un’architettura coreografica alla scoperta dell’arte performativa tra i luoghi, i corpi e le distanze.

Traghettatrice verso un mondo altro, è la stessa Pennini a varcare per prima i cancelli di uno spazio d’ombra e riflessi, protagonista cieca di un viaggio utopico in un luogo più che reale. Con gli occhi bendati, danza silenziosa per una webcam, che ne trasmette l’immagine ai cinque uomini al centro; munito di mascherine e microschermi,  il piccolo gruppo mima con disciplina i gesti della virtuale presenza. È il cruccio di un corpo che non può vedere se stesso e che è visibile agli altri, un corpo aperto al mondo ma impenetrabile allo sguardo, un corpo che è qui e altrove, sovrano della propria porzione di mondo e al centro di ogni percezione, atto, sogno e negazione. Un corpo, direbbe Michel Foucault, “attore principale di tutte le utopie” (L’utopie du corps, conferenza radio 1966).

Lo spazio si dilata lentamente tra i confini di un circo dark e le note di un racconto senza tempo, mentre il CollettivO inizia a viaggiare, trapezista tra le torri della storia ed equilibrista tra i misteri dell’uomo. Il petto tatuato di Pennini diventa la via d’accesso verso un universo di simboli millenari, che la strappano a questo mondo e la trasfigurano in Dea cieca (e cyborg) di fortune e cadute possibili. Dall’alto della sua Ruota, tra vorticosi volteggi e immobilità agghiaccianti, manovrerà i destini di tutti, scegliendo vincitori e sconfitti, trionfi e castighi.

Il palcoscenico, teatro vicinissimo di un mondo sconosciuto, detta le nuove regole di un gioco collettivo che coinvolge attori e spettatori: affini eppure separati, familiari per un attimo ed estranei per sempre. Esplode qui l’ironia del CollettivO, esilarante in un’improbabile lotta tra i meridiani di cuore, polmone, fegato e stomaco (alla base della medicina tradizionale cinese), in cui ad arbitrare è sempre la dea bendata insieme all’invisibile uomo di carta dorata. Solo un attimo di quiete prima di un nuovo trionfo, e poi ecco che la storia riprende il suo corso circolare, con nuovi sovrani, battaglie, sconfitte, profeti, redentori; e alla fine, ancora un corpo, legato ed esposto, prigioniero e negato, sospeso per sempre tra il cielo e la terra.

I riferimenti di Benvenuto Umano si moltiplicano in un intreccio complesso, non sempre (e non necessariamente) decifrabile: oltre ai richiami foucaultiani, ci sono le suggestioni del ciclo iconografico del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia (Ferrara), affreschi di un’arte rinascimentale che incornicia scene di vita di corte e trionfi di divinità romane, segni astrologici e riferimenti filosofici. E dietro quel titolo singolare, non solo un saluto cortese ma anche un dettaglio del corpo, lo Tsubo Jin Gei, piccola cavità alla base del collo chiamata appunto, nella medicina tradizionale cinese, Benvenuto Umano (fessura d’accesso, forse, all’impenetrabile mistero del corpo).

Una densità di riferimenti ingestibile per molti, ma non per la lucida regia di Francesca Pennini, che pare tener saldo l’impianto grazie alla costruzione di un universo simbolico autonomo, carico di immagine e suono, ma essenzialmente chiaro nel disegno e nel gesto. Spettacolo “senza rete”, Benvenuto Umano è un’acrobazia coreografica che sospende la linearità del tempo e gioca con le geometrie dello spazio, pur conservando, in ogni momento, la tangibilità del corpo nell’atto presente. Decolla con voluta lentezza, e poi lo fa con assoluta certezza, chiudendo l’ennesimo round di una partita da giocare all’infinito.

Francesca Pennini è un’interprete seducente che associa al corpo atletico la morbidezza di un movimento rotondo, la perentorietà di un’intenzione registica chiara, la leggerezza di un’ironia intelligente (senza dimenticare l’incredibile capacità di condurre l’intera performance ad occhi bendati). E non è sola; con lei, gli ottimi performer e circensi del CollettivO CineticO Simone Arganini, Andrea Brunetto, Carmine Parise, Stefano Sardi e Angelo Pedroni (anche dramaturg di Benvenuto Umano), perfetti rappresentanti della comunità “cinetica” e abili manovratori dei suoi microingranaggi. Numerosi gli applausi del pubblico del Romaeuropa Festival al Teatro Vascello.

Lula Abicca

29/10/2017

Foto: CollettivO CineticO, Benvenuto Umano di Francesca Pennini.

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2 Commenti

  1. simonettasan

    Da profana degli spettacoli di Francesca Pennini, ma con la curiosità di uno spettatore principiante e avventuroso, eccomi incollata alle “stranezze” di CollettivO CineticO, occhi sgranati, ammetto un po’ stordita e confusa. A tratti infastidita dal fatto di non comprendere immediatamente. Uscita dal teatro, in autobus, mi sono messa a pensare, con il rischio di perdere la fermata cui dover scendere. Forse non c’era nulla da capire, questa ossessione di trovare sempre un filo logico, una trama, una storia e un suo finale…

    Bastavano la forza di un corpo che appare malleabile come una pasta forgiata da abili e calde mani, la capacità di danzare a occhi bendati, con la sola forza della parola e della musica di condurre le linee dei movimenti perfetti, di portare lo spettatore in altre dimensioni. Quelle del limite e della verità. In un’intervista, la Pennini spiega: “abbiamo inteso il limite come una possibilità di sensibilità, quando arrivi al limite hai la chiara percezione di dove sei, di dove sei arrivato». La verità rende acuminata ogni azione: «ogni esperienza in scena è reale, è tangibile la condizione fisica in cui ci troviamo. La lotta è vera, la cecità è vera. Il pericolo è vero e non c’è interpretazione, non possiamo sforzarci di interpretare perché rischiamo di morire, serve una grande fedeltà interna per restare attenti. E ci interessava l’idea del rito sacrificale, non perché ci piaccia stare male ma perché crediamo che sia necessario spendere qualcosa di sé stessi». Ipnosi. Quasi.

    A colpire quindi sono il gioco, la necessità di perdere, la sua ineluttabilità, il cerchio dell’uomo vitruviamo che non si chiude, un cerchio che lascia aperte scelte e direzioni. Senza perfezione alcuna, quella che lo dovrebbe contraddistinguere. Senza regole, lo spettatore si perde nel vuoto, viene avvolto dalla sensazione di corpi elastici e plastici che parlano da soli attraverso l’energia dei propri muscoli. Non ci sono spiegazioni per me, solo il lasciarsi andare obbligato a ritmi e libertà di non pensare, di non essere. Di seguire un’onda.

    Il finale lascia un po’ spauriti, spesso non si può scegliere, le costrizioni legano pensieri e anima. La vita stessa. Quella di un circense che rischia. La caduta. Ma la forza di volontà, quella pura, travolgente e libera, forse può trionfare. Un ritorno all’umano fatto anche di leggerezza. Rinunciando a ogni controllo. Why not.

    Simonetta Sandri
    Danzaeffebi meets #REf17!

    Ott 30, 2017 @ 15:05:03

  2. mariamarangolo

    CollettivO CineticO, compagnia tutta italiana riconosciuta a livello internazionale, ha presentato la sua ultima creazione al Teatro Vascello.
    La coreografa e performer Francesca Pennini è presente in sala, bendata, e si aggira in platea per guidare il pubblico in un training preparatorio alla visione della performance. Guadagnato il buio e, chissà, anche la giusta concentrazione, la scena si apre con alcuni corpi vestiti di sola culotte, e muniti di visore virtuale.

    Benvenuto umano: virtuale, videocomandato e impedito.
    Si entra, sin dal principio, in un mondo da videogioco, dove la virtualità si sperimenta con la vista.
    La danzatrice e boss del gruppo in scena non toglie mai la benda dagli occhi e guida i membri di una stramba tribù in alcune attività attraverso diversi espedienti.
    La prima è una danza scomposta, che lei effettua davanti ad una telecamera, e che i danzatori riescono a riprodurre in differita grazie alla maschera che ciscuno indossa.
    Sono goffi, si muovono in gruppo e i visori impediscono loro di vedersi e dunque di coordinarsi. Non manca qualche dettaglio a rendere più curiosa questa situazione: lei sceglie la playlist da far suonare attraverso SIRI, l’assistente digitale dell’iPhone, che a tratti non capisce o non riesce a connettersi.

    Il torso nudo della danzatrice, così come gli avambracci degli altri componenti, è decorato da sgargianti tatuaggi, una scelta estetica che richiama il mondo circense, strizza l’occhio agli hipster delle metropoli e rievoca i segni di appartenenza delle tribú di un passato così passato da poter essere il futuro.

    In una seconda fase, forse narrativamente slegata dalla prima, si introducono in scena gli attrezzi tipici del circo: alcune corde, un cerchio aereo e una ruota di Cyr mossa da un danzatore. Quest’ultima, amplificata da un microfono legato al braccio che la fa roteare sempre più velocemente, riproduce delle oscillazioni sonore realmente suggestive, che ipnotizzano anche la vista. E lo stesso meccanismo viene messo in atto con una corda, che prende fisicamente la forma dell’onda sonora, e che coinvolge ugualmente l’udito.
    La presenza in scena degli attrezzi sembra aprire le intenzioni dello spettacolo ad una dimensione ludica, in cui si esplorano meccanismi performativi per puro gioco teatrale.
    Le cose che accadono non abbandonano il loro lato meno innoquo. Si inuisce un secondo livello di significato più complesso, ma rimane il gusto dell’intrattenimento che, grazie al costante intervento della voce della Pennini, con l’effetto del palloncino a elio, ci rende spettatori di una sorta di lotta tribale su un ring in cui lei sembra essere guru e giudice senza appello.

    A quattro performer viene attribuito, dalla giudice dell’incontro, un meridiano della medicina tradizionale cinese: cuore, fegato, polmone e stomaco, ciscuno dei quali deve scontrarsi con l’altro in un combattimento sul ring della tribú.
    Il pubblico ride di gusto quando il giudice bendato fa scorrere il suo dito audio-amplificato sui corpi dei combattenti per riconoscerli (non può con la vista, ma noi sì) e la sua audiocronaca si interrompe insieme ai corpi congelati in lotta perché lei vi riconosce, come all’apertura di un link su una pagina web, una posizione di una statua famosa, un momento cardine della letteratura occidentale, una mossa di un fumetto giapponese. Il pubblico ha davanti a sè una raccolta di figurine, persino le forme che i danzatori assumono solo per un momento sono riferimenti, e se ai profani non è dato cogliere i più dotti, che a quanto pare sono numerosissimi e spina dorsale dello spettacolo, il grande pubblico trova comunque le coordinate per un suo orientamento. Nel mondo dei meme e dei B movie si trova soddisfazione ad ogni riconoscimento: le situazioni che si creano sono coinvolgenti, il gioco della scena gode della presenza attiva dello spettatore che guarda ma sa di non poter essere guardato, sia concretamente dall’abilissima Pennini che non perde mai l’orientamento, sia dal resto della compagnia, che è immersa in un meccanismo dal significato oscuro ma noto nelle dinamiche di funzionamento perché simile a tutti i meccanismi, umani e umaoidi che essi siano.

    Come in altri spettacoli proposti da REf17, anche qui si è felici di notare la necessità artistica e comunicativa di produrre musica live, grazie ancora una volta ad uno dei performer, Stefano Sardi, “cantautore danzante e strimpellatore di organi vari” come si autodefinisce, che produce con l’uso di una loop station dei vocalizzi di atmosfera etnica e fortemente evocativa.

    Maria Marangolo
    Danzaeffebi meets REf17

    Nov 01, 2017 @ 10:53:39

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