La recensione

Il Ballet Nacional de Cuba al Teatro Regio di Torino con “Giselle”

Dal 10 al 21 dicembre 2014 il Teatro Regio di Torino ha ospitato il leggendario Ballet Nacional de Cuba. Nelle recite di Giselle, si sono messi in luce il Corpo di ballo e Annette Delgado nei panni della protagonista.

Gli appuntamenti dedicati al balletto al Teatro Regio di Torino sono generalmente pochi ma improntati ad una qualità artistica eccellente. E anche quest’anno la Fondazione non è venuta meno a quanto detto poc’anzi. A dare il via alla rassegna di danza nel mese di dicembre è stata chiamata quest’anno la compagnia del Ballet Nacional de Cuba, con due titoli “simbolo” del proprio repertorio: Giselle e Don Chisciotte. Quasi inutile aggiungere che entrambi i balletti sono stati presentati nella versione coreografica di Alicia Alonso fondatrice, demiurgo e anima stessa del Balletto dell’Isla Grande.

I ballettofili, in special modo gli amanti del Balletto cubano, sapranno già molto se non tutto in merito alle origini della Compagnia (a questo proposito, vi rimandiamo al video della conferenza tenuta dal giornalista Alfio Agostini nel ciclo di incontri organizzati dal Teatro in previsione degli spettacoli). Si può sottolineare che, ancora una volta e con le opportune distinzioni, il tutto sia nato da una grande personalità – così come per l’Inghilterra (con Ninette de Valois) o l’Olanda (con Sonia Gaskell) – che avesse un’idea ben precisa sul come pianificare una compagnia di balletto e quale repertorio approntare. Fu quindi sotto il nome di Alicia Alonso che nel 1948 vide la luce la Compagnia cubana: era, per l’appunto, il Ballet Alicia Alonso divenuto successivamente Ballet de Cuba nel 1955 e Ballet Nacional de Cuba nel 1959.

La tecnica, e di conseguenza lo stile, della Alonso si devono a maestri di varia provenienza (culturale, artistica e geografica): a seguito dei primi studi a Cuba, si perfezionò a New Tork sotto la guida di un maestro italiano, Enrico Zanfretta. Con Aleksandra Fëdorovna e poi Anatolij Vil’zak e Ludmilla Schollar (tutti provenienti dalle file dei Ballets Russes di Djagilev) fu poi la volta dell’assimilazione dello stile russo, ulteriormente limato con Vera Volkova a Londra.

Così Elisa Guzzo Vaccarino, nelle note accluse al programma di sala, riassume lo stile cubano: «Il virtuosismo cubano è fatto di equilibri, giri e salti sicurissimi, di port de bras e di épaulement netti, scolpiti, di una qualità emozionale palpitante, racchiusi in una tecnica/stile con incisi il marchio americano e latino insieme, che arriva a mostrare fresca e attuale, la danza di due secoli addietro. La scuola cubana è costruita sull’orgoglio, il coraggio, la bravura, la fierezza di essere cubani, di essere i migliori, di essere richiesti in tutto il mondo». Tutte queste prerogative e altro ancora, possono essere rintracciate anche nella storica coreografia di Giselle vista al Teatro Regio. Giselle è davvero uno dei ruoli “monstre” per una ballerina, si sa: la stessa Alonso, che debuttò come Giselle nel 1943 con l’American Ballet Theatre al Metropolitan di New York, ha più volte dichiarato di averlo danzato sempre con un’inflessione o un accento diverso, recita per recita. Insomma, Giselle ha rappresentato per l’Assoluta (come viene chiamata Alicia Alonso a Cuba) un punto di partenza e di arrivo allo stesso tempo.

Per tornare alla coreografia, un corpo di ballo come quello di Cuba deve giocoforza far mostra della propria sezione maschile: ecco quindi che il celebre Pas de Deux des Jeunes Paysans del primo atto viene ripensato come scena d’ensemble in cui anche il comparto maschile possa dar sfoggio del proprio virtuosismo. Curiosamente, però, la celebre serie di entrechat di Albrecht viene spezzata laddove si preferirebbe continuasse, proprio per sottolineare la fatica immane cui il giovane è sottoposto per fuggire la morte che le Villi vorrebbero infliggergli. Altro punto focale della coreografia è la lunga scena pantomimica all’atto primo, in cui la madre di Giselle prevede il destino di morte della figlia. Il risultato sembrerebbe una reminiscenza di scuola sovietica ma, allo stesso tempo, il modo così teatrale e enfatico in cui viene costruita la rende molto simile ad una sorta di rito: la figura della madre risulta così in bilico tra Carabosse ed una sacerdotessa indù. Il vocabolario tipicamente cubano è ravvisabile soprattutto nell’utilizzo di un port de bras da parte del Corpo di ballo femminile molto più angoloso che ovoidale, dove viene privilegiata una linea più spezzata che curvilinea; sempre nella costruzione del port de bras, le mani, anziché privilegiare un allineamento alla stessa altezza, vengono sempre leggermente sovrapposte.

Per quanto riguarda l’allestimento, occorre fare una riflessione più generale. Quando un balletto trova una sua standardizzazione nella durata degli anni, è molto difficile che riesca a liberarsi di tutto ciò che lo circonda, compresi scene e costumi che vengono considerati quasi parti integranti della coreografia: basti guardare le versioni sovietiche degli a tutti noti balletti del Mariinskij che risultano quasi più polverose delle “ricostruzioni filologiche”. Lo stesso vale ovviamente anche per il repertorio del Ballet Nacional de Cuba: scene e costumi dai colori molto accesi, quasi soffocanti laddove si preferirebbero tinte più tenui e accennate – soprattutto all’atto bianco! -, fondali dipinti… poco altro. Spiace purtroppo rimarcare che le recite torinesi di Giselle hanno sofferto la mancanza di un’esecuzione musicale dal vivo. Non conosciamo i motivi di questa scelta: ci limitiamo solamente a suggerire che forse una registrazione meno clangorosa avrebbe giovato alla riuscita globale dello spettacolo.

Annette Delgado è stata una Giselle complessivamente ottima. Sicurissima nella tecnica par terre, ha esibito salto e batteria sempre in consonanza alla logica romantica senza mai eccedere o risultare stridente con l’ossatura coreografica. Altrettanto valida la Myrta di Dayesi Torriente che ha ben caratterizzato la glaciale regina delle Villi con grand jeté alti e sicuri ed una presenza davvero aristocratica. Piuttosto pallido invece l’Albrecht di Daniel Hernández: se escludiamo un buona capacità nel salto, sono emerse lacune piuttosto evidenti nella batteria poco elastica e in una pantomima incolore che si è protratta per entrambi gli atti. Virile nella figura e di buona tecnica invece l’Hilarion di Ernesto Díaz. Il Corpo di ballo femminile – a parte qualche fisiologica asincronia all’atto primo – è stato eccellente. Capita di rado di vedere una schiera di Villi così compatta: un vero e proprio incubo nella notte. È bello e rassicurante assistere a rappresentazioni simili ai nostri giorni: perché, ancora una volta, ci viene mostrato come la grande danza venga assimilata e portata avanti con disciplina e dedizione. Il che la rende automaticamente Arte. Successo al calor bianco per tutta la Compagnia.

Matteo Iemmi

8/01/2015

A coloro che hanno perso lo spettacolo proponiamo una versione video della Giselle del Balletto di Cuba andato in scena nel 2013 a Siviglia sempre con Anette Delgado e Daniel Hernández nei ruoli dei protagonisti.

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