La recensione

Il Lago dei Cigni secondo Alexei Ratmansky alla Scala. Un Trionfo.

Grandissimo successo per Il Lago dei cigni secondo la ricostruzione di Alexei Ratmansky in questi giorni in scena al Teatro alla Scala. La versione di Ratmansky si prefigge di svelare al pubblico una versione il più vicina possibile all’originale di Marius Petipa e Lev Ivanov. Eccellente il cast capeggiato dalla Prima ballerina Nicoletta Manni nel doppio ruolo di Odette e Odile e dall’altrettanto valido principe di Timofej Andrijashenko. Ottima la prova dell’intera compagine scaligera. Il Lago sarà in scena alla Scala fino al 15 luglio 2016 per poi andare in tournée al Palais des Congrès di Parigi dal 5 al 13 novembre 2016.

All’interno di una stagione un po’ sonnacchiosa quanto a riprese e nuove proposte, si può ben dire che Il Lago dei Cigni nella ricostruzione di Alexei Ratmansky dall’originale di Marius Petipa e Lev Ivanov in scena in questi giorni al Teatro alla Scala di Milano e coprodotto con l’Opernhaus Zürich non abbia deluso le aspettative.

Conosciamo già il modus operandi di Alexei Ratmansky all’interno delle ricostruzioni dei balletti di età imperiale: ricordiamo che già lo scorso anno proprio il Teatro alla Scala mise in scena la sua Bella addormentata in coproduzione con l’American Ballet Theatre. È un metodo di lavoro che pur partendo dalla notazione ideata da Vladimir Stepanov prende in considerazione foto, filmati e materiale d’archivio. Un lavoro immenso che va ben oltre la filologia se assommiamo anche le integrazioni apportate dal coreografo laddove la notazione è lacunosa. Il punto è però un altro: oltre alla ricostruzione dei passi ciò che preme a Ratmansky è restituire uno stile che è andato perso contemporaneamente all’evoluzione della tecnica, della fisicità dei ballerini, della stratificazione e della sedimentazione delle coreografie.

Se confrontiamo queste celebri videoregistrazioni praticamente contemporanee –l’una della fine degli anni Cinquanta del Novecento con Maya Plisetskaya e il Balletto del Teatro Bolshoi, l’altra degli anni Sessanta con Margot Fonteyn e il Royal Ballet – ci rendiamo immediatamente conto di come il Lago sia profondamente cambiato a seconda delle latitudini. Sembrano quasi due balletti diversi, proprio perché figli di stili differenti. Eccole di seguito:

 

La visione di Alexei Ratmansky ci riporta ad un Lago più simile a quello danzato nel video del Royal Ballet. Fu proprio l’Inghilterra a fare da tramite tra l’Europa e i balletti russi di età imperiale e fu quindi la diretta depositaria delle coreografie che Nikolai Sergeev (il regisseur del Teatro Mariinsky fuggito dalla Rivoluzione d’Ottobre portando con sé le notazioni oggi conservate ad Harvard) lì rimontò. Ricordiamo che il Lago venne riallestito nel 1934 per il Vic-Wells Ballet ossia l’odierno Royal Ballet.

Il Lago che ci viene mostrato da Ratmansky ha quindi una tinta molto più romantica rispetto a ciò che oggi siamo abituati a vedere. Ha innanzitutto una concezione del corpo di ballo molto più terrena e umana: le fanciulle-cigno non sono esseri semidivini imbrigliati nel port de bras che dovrebbe simulare un’ala ma ragazze che partecipano del dolore della loro regina. Questa componente umana è presente anche nei compagni di caccia di Siefried che prendono parte dello struggimento delle fanciulle colpite dal sortilegio. Ricompaiono i cigni neri all’ultimo atto come nelle versioni del Mariinsky e del Bolshoi, quasi un prodromo alla morte dei due protagonisti. Hanno inoltre una grande rilevanza le scene di pantomima come il lungo dialogo tra Odette e Siefried al loro primo incontro.

Le peculiarità stilistiche di questo Lago vanno ricercate soprattutto nella velocità dei piccoli salti e delle batterie che trovano una maggiore aderenza ai tempi voluti da Tchaikovsky, nelle piroutte in punta che ora avvengono senza il sostegno del cavaliere che si limita ad assecondare il giro con una sola mano al fianco della dama (come nel pas de trois del primo atto) e nelle linee smussate e soffici riservate al corpo di ballo femminile agli atti bianchi. Il punto di partenza, la base su cui si innesta la coreografia, è quindi delicato e impalpabile ma il risultato è grandioso proprio perché pensato per un corpo di ballo di grandi dimensioni, nel più puro stile Petipa.

Le scene e i costumi di Jérôme Kaplan agevolano pienamente la ricostruzione di Ratmansky. Qui non c’è alcuna pretesa filologica ma semplicemente la volontà di creare uno spettacolo nuovo e che vada di pari passo con la coreografia. Kaplan sceglie come referente la corrente preraffaelita: ecco allora una propensione per le tonalità pastello per la scena della festa e del ballo mentre una papalina bianca copre il capo delle fanciulle-cigno il cui volto viene incorniciato da un lungo boccolo che parte dalla nuca per cadere sulla spalla. Molto azzeccata anche la scelta di connotare i due atti in riva al lago da una semplice rovina di stile gotico che enfatizza sì il clima romantico della coreografia ma è anche un dettaglio presente nei resoconti e nei bozzetti della prima pietroburghese del Lago nel 1895.

Se proprio volessimo trovare un neo all’intero spettacolo sarebbero le luci di Martin Gebhardt agli atti bianchi. L’idea è quella di ricreare l’effetto della luce della luna che filtra attraverso le fronde degli alberi: alcune zone restano più in ombra rispetto ad altre, oscurando a volte la bellezza degli ensemble sulla scena. Probabilmente in un teatro più piccolo come quello di Zurigo l’effetto sarà risultato più raccolto.

Resta da riferire del cast che alla replica del 6 luglio 2016 era lo stesso della première. Nicoletta Manni ha ballato benissimo. Una delle prove migliori che la giovane Prima ballerina scaligera ha offerto sul palco del Massimo milanese qui in un titolo a lei molto congeniale. È stata dolcissima ma senza nessuna affettazione nel ritrarre Odette così com’è apparsa sicura nei virtuosismi del Cigno nero, un’Odile tutta fascino e seduzione. Perfetta. L’affiancava un eccellente principe, Timofej Andrijashenko che ha fatto mostra di un bellissimo salto e di una batteria morbida e veloce. Mick Zeni è stato un Rothbart di grande teatralità. Molto bravo anche Christian Fagetti nei panni di Benno, affiancato nel pas de trois al primo atto da Virna Toppi e Alessandra Vassallo. Corpo di ballo al proprio zenit: semplicemente meraviglioso. Ottimo l’apporto degli allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala guidata da Frédéric Olivieri.

Dopo il grande successo delle prime recite, questa produzione del Lago sarà in scena fino al 15 luglio per poi essere ripresa anche nella prossima stagione. In Francia i nostri cugini d’oltralpe potranno ammirarla al Palais des Congrès di Parigi dal 5 al 13 novembre 2016.

Matteo Iemmi

10/07/2016

 

Foto: Nicoletta Manni, Timofej Andrijashenko e il Corpo di ballo del Teatro alla Scala ne Il lago dei cigni di Alexei Ratmansky, ph Brescia e Amisano Teatro alla Scala.

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