La recensione

La bella addormentata di Matteo Levaggi al Teatro Massimo di Palermo

È in scena fino al 28 dicembre 2017, al Teatro Massimo di Palermo, La bella addormentata, rivisitazione contemporanea di Matteo Levaggi del grande titolo del repertorio classico. Levaggi non stravolge la trama, ma ne ridisegna l’estetica e introduce suggestioni disneyane, come il personaggio Fosco, braccio destro di Carabosse, tratto dal film Maleficent. Interessanti alcuni spunti drammaturgici: troviamo Aurora, orfana e ribelle, cresciuta dal Paggio di Corte e circondata da personaggi maschili che rappresentano il bene e il male: la Fata dei Lillà, qui ruolo en travesti, Carabosse, interpretata come da tradizione da un uomo. Coreografia essenziale, si immerge nelle note di Čajkovskij. Buono l’impatto estetico, qualche calo di linearità nella narrazione. In forma i solisti e il corpo di ballo.

A Palermo, in un Teatro Massimo in festa, ha debuttato il 17 dicembre 2017 in prima assoluta La bella addormentata, nuova creazione per la compagnia di casa e ultimo balletto della Stagione 2017, con coreografia di Matteo Levaggi. Il nuovo corso dell’ensemble, inaugurato nel 2015 dal coordinatore del Corpo di ballo Marco Bellone e sostenuto dal sovrintendente della Fondazione Teatro Massimo Francesco Giambrone, conferma ad oggi numeri in ascesa: i dati premiano una salda linea direttiva, che se da un lato asseconda i desideri del pubblico (pensiamo al grande classico in scena lo scorso luglio, Giselle, nella versione di Ricardo Nuñez con la stella Svetlana Zakharova, o al Don Chisciotte, ripresa coreografica di Lienz Chang, in programma per il prossimo febbraio), dall’altro non rinuncia alla sperimentazione e all’innovazione (pensiamo non solo alle serate con i grandi coreografi contemporanei come Jiří Kylián e Johann Inger, ma anche all’appuntamento del 2016 Waiting for Ravel con gli autori italiani di ultima generazione, o al progetto Cecità a cura dello stesso coreografo residente per il 2017 Matteo Levaggi).

Frutto del genio coreografico di Marius Petipa e di quello musicale di Pëtr Il’ič Čajkovskij, la prima versione del balletto La bella addormentata (1890) diluiva la parabola di formazione della protagonista Aurora (dalla fiaba di Charles Perrault del 1697) lungo un secolo di storia francese, dal tramonto del 1500 all’alba del regno glorioso di Luigi XIV. L’omaggio al Re Sole ben si prestava, nel tardo-romanticismo russo, alla rievocazione dei cerimoniali tanto amati dalla corte pietroburghese e ribadiva l’elegante codice estetico di Petipa .

Matteo Levaggi, carismatico interprete negli anni Novanta (al Balletto Teatro di Torino e in Aterballetto) e successivamente giovane coreografo dal segno eclettico (per molti anni coreografo residente dello stesso BTT, ma anche ospite in contesti nazionali e internazionali, dall’Arena di Verona al Grand Théâtre de Genève, dal MaggioDanza alla Los Angeles Contemporary Dance Company, passando per le collaborazioni con Corpicrudi, con il regista Davide Ferrario e il New York Choreographic Institute), inaugura la propria maturità creativa con una sfida non tanto nei confronti della tradizione del balletto, terreno della sua formazione, quanto ai principi della sua stessa vocazione.

Sostenitore di una danza in sé significativa, potenza autonoma composta da richiami visivi e sonori, Levaggi si è in passato distanziato dalla narrazione, preferendole quadri in movimento, dipinti di danza pura, strutture coreografiche del presente.

Già nel 2013 con Čajkovskij Suites (per BTT) si era accostato a due delle più note partiture del compositore russo (La bella addormentata e Il lago dei cigni) dedicandosi alla riformulazione in chiave stilistica contemporanea dello spirito romantico cristallizzato nel repertorio classico.

In questo caso, con La bella addormentata per il Corpo di ballo del Teatro Massimo di Palermo, si cimenta nella riscrittura dell’intero balletto e, senza stravolgerne la trama, vi introduce alcuni spunti drammaturgici originali: la protagonista Aurora è orfana e adolescente ribelle, che cresce in una corte dai colori disneyani sotto la protezione del Paggio; intorno a lei figure maschili onnipresenti, rappresentazione delle forze opposte del Bene e del Male (la strega Carabosse è, come nella tradizione interpretata da un uomo, e si aggiunge il ruolo en travesti de La Fata dei Lillà). Gli atti hanno impostazioni differenti, il primo è spiccatamente narrativo, il secondo spoglio ed essenziale, il terzo si riaggancia a Petipa con la celebrazione delle nozze di Aurora tra i personaggi di Perrault.

Levaggi rinuncia (prevedibilmente) ad interruzioni pantomimiche e sceglie di inoltrarsi nel racconto lasciandosi guidare dalle note di Čajkovskij, qui magistralmente eseguite dall’Orchestra del Teatro Massimo diretta da Farhad G. Mahani. Ritroviamo nel coreografo la sensibilità musicale che già conosciamo e accattivanti soluzioni dinamiche di gruppo; ci rammarica, tuttavia, che non tutti gli spunti drammaturgici del primo atto trovino perfetta articolazione, probabilmente nel tentativo di lasciarne aperta l’interpretazione.

La scena d’apertura preannuncia il maleficio al centro del racconto: Carabosse, qui stregone in pantaloni di pelle su un ampio trono di rovi d’argento, è a capo di un’orda di creature striscianti e del sinistro Fosco, personaggio assente nella versione originale del balletto e tratto invece dal film del 2014 Maleficent diretto da Robert Stromberg, produzione Walt Disney Pictures. Il quadro è segnato da dinamiche di movimento ampio e continuo in cui il gruppo alternatamente si chiude e si dirada, modellando lo spazio e il tempo secondo il ritmo di un destino inesorabile. Oltre le nubi nefaste della prima scena, si festeggia la neonata principessa Aurora tra i colori accesi di una corte zuccherosa, in cui le fate della tradizione assumono l’aspetto di grandi e tondeggianti caramelle rosa, nostalgiche delizie di un sogno fanciullesco (di grande effetto, inizialmente, l’originale costume confetto; si attenua tuttavia nel corso degli atti).  Danzando sulle punte, portano doni di buon augurio, assecondando la chiara definizione musicale delle singole variazioni; con loro la Fata dei Lillà en travesti, ugualmente in bianco costume spumoso. Il pasticcio del mancato invito a Carabosse precipita nell’infausta maledizione, attenuata in ultimo dalla Fata madrina: Aurora, raggiunta la maggiore età, cadrà in un lungo e profondissimo sonno da cui uscirà solo grazie ad un sincero bacio d’amore.

Nel primo atto, in cui si articola e definisce il destino della protagonista, troviamo alcuni spunti interessanti: c’è il disegno riuscito di una corte allo sbando e senza sovrani, gongolante tra i vizi di un mondo patinato che forse richiama, tra le righe, una contemporaneità dai valori in bilico (ottimo il disegno coreografico di insieme nel valzer). E poi c’è Aurora, orfana di genitori e di riferimenti, adolescente inquieta e vittima di un passato sconosciuto, condotta per mano dal Paggio di Corte (elemento di raccordo tra gli atti,  il personaggio è quasi costantemente in scena e accompagna Aurora al suo destino). L’entrata della protagonista, in gonnellino fucsia e piedi nudi, sfacciata e discola, racconta la storia di una gioventù desiderosa e libera, che scopre le proprie pulsioni e affonda tra i petali di un paradiso interrotto (di grande effetto la pioggia di rose in scena, fragore di una fanciullezza spezzata). Il celebre Adagio della Rosa, che nel balletto originale traduce i primi tentativi d’autonomia e regale responsabilità della giovane principessa, trova qui un’Aurora disinvolta e audace, che attrae i suoi pretendenti e poi se ne libera, tra i contorni di una femminilità fiera e decisa. Sarà poi ancora una rosa, questa volta quella nera di Carabosse, a farla cadere nel sonno, accompagnata dal silenzio di un’intera corte addormentata.

Nel secondo atto, passati cento anni, troviamo un Principe in abiti moderni, che condotto dalle visioni della bella dormiente e dalle esortazioni della Fata dei Lillà trova la strada nel bosco e la corte assopita per risvegliare la regina del suo Desiderio. Qui la narrazione si scioglie in un’ininterrotta sequenza danzata, che se da un lato sospende (e confonde) gli esiti del racconto, dall’altro descrive con efficacia i turbamenti di un’attesa, i sordi fremiti dei primi contatti, l’assillo di un ardore giovane. Il risveglio sarà l’aurora di un nuovo presente in cui i giovani si scopriranno sovrani del loro mondo, liberi autori del proprio destino.

Il terzo atto celebra infine l’unione dei protagonisti, tra i personaggi di Perrault e colori Disneyani, regalando un finale leggero in cui non mancano scene divertenti (fa sorridere l’Uccellino blu con la vistosa chiave che ne aziona le ali, Cappuccetto Rosso che marcia impertinente, Cenerentola scontrosa che lancia la scarpetta).

Alcuni aspetti risultano riusciti: c’è un originale impatto estetico, una nuova visione del personaggio di Aurora e uno snellimento dell’intreccio. Altri restano meno approfonditi: la narrazione soffre di alcuni cali di linearità e tensione, con il risultato di attenuare l’esplosione coreografica finale.

Merita tuttavia attenzione l’intera (e coraggiosa) operazione del Teatro Massimo di Palermo: un nuovo allestimento che ha portato in campo una squadra di giovani talenti al servizio di una creatività moderna e ricettiva. Sottolineiamo, a tal proposito, il coinvolgimento per l’ideazione di tutti i costumi della nuova produzione degli studenti del Master L’Arte e il Mestiere del Costumista per l’Opera Lirica e il Balletto dell’Accademia Costume & Moda di Roma coordinato da Andrea Viotti: un’iniziativa che ha permesso ai giovani neo-costumisti di confrontarsi direttamente con il coreografo Matteo Levaggi  e con il coordinatore Marco Bellone definendo la linea artistica per i costumi di ciascun interprete e partecipando con le loro idee alla scrittura della nuova creazione.

Il segno di Levaggi trova terreno fertile nel corpo di ballo del Teatro Massimo, ai nostri occhi in buona forma, evidentemente disciplinato e rimodellato dalle nuove esperienze coreografiche nel corso delle stagioni e da un repertorio progressivamente più ampio.

Michele Morelli, principe dalle linee moderne e dal fascino antico, esalta il pubblico dalla prima entrata, padrone di un movimento tecnicamente cristallino e di un singolare carisma interpretativo che ben traduce i turbamenti del solitario eroe della fiaba. Nei passi a due con Romina Leone (Aurora), lo scopriamo prima lirico, poi appassionato, infine vigoroso, pronto alla guida del proprio regno e al principesco matrimonio.

Romina Leone, Aurora energica e sinuosa, convince nel primo atto, brava nel gestire le voglie e le ritrosie del suo personaggio adolescente; la ritroveremo sulle punte, matura e risoluta, protagonista di un amore desiderato e finalmente compiuto.

Da segnalare la prova di Alessandro Cascioli nei panni del Paggio, alle prese con l’invenzione del personaggio, abile nel tratteggiarne l’apprensione, i timori e il finale sollievo, ma soprattutto ottimo danzatore dal movimento fluido ed estremamente musicale. Bravi Vincenzo Carpino nel ruolo di Carabosse e Vito Bortone in quelli di Fosco, efficacemente espressivi e dal gesto ‘malefico’ e perentorio; e Andrea Mocciardini, Fata dei Lillà dal piglio severo e cosciente del proprio ruolo risolutore, un ballerino di grande talento favorito da linee scultoree e movimento flessuoso. Bene le fate Alessia Pollini, Francesca Bellone, Jessica Tranchina, Lucia Ermetto, Elisa Arnone, Annamaria Margozzi (che interpreta anche la Principessa Fiorina con Gianluca Mascia), deliziose al primo ingresso, precise e musicali nelle variazioni.

Il pubblico della Prima ha assistito allo spettacolo con attenzione, salutando con calore l’ingresso dei solisti e del corpo di ballo. Ai saluti finali, applausi convinti dalla platea (e qualche isolata titubanza nei palchi). La produzione chiude un anno di soddisfazioni per il Balletto del Teatro di Massimo di Palermo, di cui attendiamo con interesse le prossime imprese in apertura della Stagione 2018.

Questa versione de La bella addormentata è in scena al Teatro Massimo di Palermo fino al 28 dicembre 2017.

Lula Abicca

23/12/2017

Foto: La bella addormentata di Matteo Levaggi, Teatro Massimo di Palermo, ph. Rosellina Garbo.

Informazioni: www.teatromassimo.it

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