La recensione

Petruška di Michail Fokine e Le Sacre du printemps di Glen Tetley per Serata Stravinskij alla Scala. Grande successo per tutti.

Grande successo per Serata Stravinskij al Teatro alla Scala. In scena due balletti su partitura del compositore russo: Petruška nella versione originale di Michail Fokine e Le Sacre du printemps nella versione di Glen Tetley. Apre la favola lieve e malinconica del burattino che prende vita e si innamora. Chiude la forza di una coreografia che rimanda a mondi ancestrali e connotata da un grande impegno fisico. Tutte le prime parti si sono rivelate ottime. Maurizio Licitra offre un ritratto dolce e malinconico di Petruška, Nicoletta Manni è una Ballerina civettuola e sbarazzina, Mick Zeni un Moro di bell’impatto. Nel Sacre è emersa la prova di Antonino Sutera che miscela benissimo l’umano e il divino richiesti dalla partitura. Ottimi anche Virna Toppi e Gabriele Corrado così come l’intera compagine scaligera.

C’è uno scarto quasi straniante tra le due partiture coreografiche scelte come secondo appuntamento della corrente stagione di balletto del Teatro alla Scala. Da una parte abbiamo Petruška (1911), la favola lieve e malinconica del burattino che prende vita e si innamora, dall’altra Le Sacre du printemps, la partitura che nel 1913 grazie a Vaslav Nijinsky cambiò il modo di concepire e fare danza. Se in questa Serata Stravinskij Petruška è stato proposto nella versione originale di Michail Fokine ripresa da Isabelle Fokine, il Sacre è stato visto nella versione che Glen Tetley creò per il Bayerisches Staatsballett nel 1974 ed entrato nel repertorio scaligero nel 1981. Comune denominatore ad entrambi i balletti è ovviamente la musica di Igor Stravinskij, compositore profondamente legato ai Ballets Russes di Sergei Diaghilev: un mondo poco affrontato negli ultimi anni alla Scala ma che speriamo possa essere approfondito come meriterebbe in futuro.

Della ripresa di Petruška da parte di Isabelle Fokine, nipote di Michail Fokine, va subito lodata la vitalità e la freschezza che ha restituito non solo alle prime parti ma anche alle grandi scene corali, in cui tutto parla e dove tutto ha una dignità espressiva. La piazza dell’Amiragliato è festosa e ciarliera e l’occhio dello spettatore è continuamente sollecitato dai vari personaggi che la popolano. A buon diritto Isabelle Fokine, nell’intervista a cura di Marinella Guatterini acclusa al programma di sala, sottolinea il fatto che senza gli apporti del nonno non esisterebbe il balletto narrativo novecentesco. Molto bene ha risposto il Corpo di ballo con una caratterizzazione sempre vivida e genuina. Ma altrettanto buona è stata la prova dei protagonisti: dal dolce e malinconico Petruška di Maurizio Licitra, alla Ballerina civettuola di Nicoletta Manni fino al solidissimo Moro di Mick Zeni.

Di Petruška, Maurizio Licitra ben restituisce il lato di eroe dimidiato: un protagonista che non è più principe come nel balletto romantico e tardo-romantico ma un pupazzo, in bilico tra realtà e fantasia (ricordiamo che dopo l’uccisione di Petruška da parte del Moro, il fantasma del burattino ritornerà sul tetto del teatrino per farsi beffa del Ciarlatano, suo antico proprietario e aguzzino), che si innamora non corrisposto della bella Ballerina, un pupazzo anch’essa che prende vita. Un ritratto sincero che è spiccato con grande facilità e immediatezza in questo acquerello dalle tinte agrodolci. Molto brava anche Nicoletta Manni, in un ruolo in cui tutto è richiesto: dalla caratterizzazione frivola del personaggio alla tecnica che è sempre sollecitata nel gioco di piccoli equilibri e bilanciamenti. Mick Zeni nei panni del Moro ha puntato su un’interpretazione sobria, mai plateale ma che centra sempre il bersaglio.

Del Sacre di Glen Tetley occorre subito dire che non è ‘nuovo’. O meglio, anche questa versione non si libera di certi stilemi che sembrano quasi imprescindibili per una rappresentazione del Sacre (salti, giri, dispiego di grandi insiemi…). È comunque di bell’impatto, è ben orchestrato e funziona. È un rientro nel repertorio scaligero a dieci anni dalla morte di Tetley, nato nel 1926 a Cleveland nell’Ohio nel 1926 e scomparso nel 2007 a West Palm Beach. Il Sacre di Tetley fu danzato dal Corpo di ballo della Scala nel 1981 sia a Milano che in tournée a New York mentre le successive stagioni furono dominate dal Sacre di Maurice Béjart. Coreografo di formazione eclettica ma fortemente legato a Martha Graham e alla sua tecnica, Tetley alla Scala è stato poi presente con altri lavori (Voluntaries, Embrace tiger and return to mountain, Circles, Ricercare).

Ecco le parole di Tetley a proposito del suo Sacre: «Le Sacre du printemps di Stravinskij è una musica dedicata alla terra, dotata di una forza profondamente sconvolgente. A me parla non solo della Russia pagana, ma anche di antichi miti e credenze ancestrali legati al mutamento delle stagioni. Quando sembrava che la terra morisse senza che sopravvivesse nemmeno una foglia, gli uomini ne attribuivano la colpa a una sola persona, una vittima prescelta che veniva uccisa, seppellita e compianta ritualmente, per poi rinascere miracolosamente portando alla terra il dono della vita rinnovata. T. S. Eliot, nella sua poesia Gerontion, coglie in un singolo verso questo momento magico: “E in primavera giunge Cristo la tigre” ».

Cosa vediamo in scena? L’ambientazione è atemporale, connotata da quello che sembrerebbe un grande giuncheto sul fondale. Il corpo di ballo maschile è chiamato a compiere salti che letteralmente fendono la scena: sono salti veloci, velocissimi, molto estesi in cui la spinta coincide quasi con l’atterraggio a terra. Il corpo di ballo femminile si fa invece più plastico, avviluppato in costumi i cui ricami sui fianchi rimandano ai petali dei gigli tigrati: le donne divaricano le gambe, perpetuando con questo gesto il ciclo eterno di nascita e morte. C’è un ‘eletto’ anche qui che nasce e muore, viene issato quasi perdendo la propria dignità di corpo, inerme e con le membra che sembrano scollarsi l’una dall’altra, per rinascere e morire nuovamente. La ciclicità è inesorabile in questa partitura.

Per venire alle parti solistiche, Antonino Sutera è stato splendido. La sua è una danza che miscela perfettamente l’umano e il divino richiesti dal ruolo: è antica e distaccata, quasi fosse il movimento di uno spirito ancestrale, ma al contempo è estremamente forte e terragna al sopraggiungere della morte. Molto bravi anche Virna Toppi e Gabriele Corrado che, oltre ad essere dotati di linee molto moderne, creano un bel contrasto con la corporatura quasi evanescente di Sutera. Ottima la prova complessiva del Corpo di ballo guidato da Frédéric Olivieri.

Sul podio troviamo Zubin Mehta, impegnato oltre che in questa serata anche nelle recite di Falstaff, la cui frequentazione col balletto è sempre stata scarsa se non nulla: funziona tuttavia molto bene e anche l’Orchestra del Teatro del Teatro alla Scala offre una prova di prim’ordine.

Grande e calorosissimo successo per tutti. Serata Stravinskij sarà in scena ancora il 1 marzo 2017.

Matteo Iemmi

25/02/2017

 

Foto: 1.-14. Le Sacre du printemps di Glen Tetley, ph. Glen Tetley Legacy; 15.-27. Petruška di Michail Fokine, Teatro alla Scala.

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