La recensione

Applausi per i giovani danzatori del Milano Contemporary Ballet al debutto del dittico Polar Sequences di Wayne McGregor e Chronos di Roberto Altamura e Vittoria Brancadoro

Lunghi applausi hanno accolto il dittico Polar Sequences/excerpt – Chronos, il nuovo spettacolo che inaugura la tournée 2018 del Milano Contemporary Ballet, giovane compagnia diretta dal coreografo Roberto Altamura. Le coreografie sono di Wayne McGregor per Polar Sequences, ricostruite per i ballerini milanesi da Davide di Pretoro e Catarina Carvalho, membri storici della Random Dance di Londra, in collaborazione con Studio Wayne McGregor, e di Roberto Altamura insieme a Vittoria Brancadoro per Chronos , lavoro che indaga sulla paura più profonda dell’uomo ossia l’assenza di tempo.

Lo scorso 21 aprile 2018 ha debuttato al Teatro di Milano Polar Sequences/excerpt Chronos, dittico che inaugura la tournée 2018 del Milano Contemporary Ballet, già pronto a partire per Tradate dove approderà al Teatro Nuovo il prossimo 5 maggio.

Il primo titolo dello spettacolo è un lavoro allestito grazie al progetto di collaborazione fra Roberto Altamura, direttore dell’ensemble milanese, e la Random Dance di Wayne McGregor, il pluripremiato coreografo contemporaneo residente al Royal Ballet.

Le sale del Milano City Ballet hanno ospitato per l’occasione Davide di Pretoro e Catarina Carvalho, danzatori stabili dello Studio Wayne McGregor, i quali hanno seguito negli ultimi mesi dieci giovani talenti del MCB ─ tutti poco più che ventenni ─ curando il restaging di un estratto da Polar Sequences, creazione del 2003 firmata McGregor e commissionata dai centri di residenza coreografica The Place e PACT Zollverein.

Polar Sequences è una di quelle opere in cui l’artista britannico decide di esasperare diversi linguaggi del movimento per ricercare un’armonia asimmetrica fra corpo del danzatore e tempo musicale, un tempo già di per sé non convenzionale considerando i brani di Rioji Ikeda, Merzbow e Amon Tobin in sottofondo.

Il vocabolario di McGregor utilizza un dinamismo al tempo stesso frammentato e fluido per “sfidare la sorte”, rendere lo spazio scenico un luogo astratto in cui tutto può accadere, tutto è inaspettato e per nulla prevedibile.

I ballerini del Milano Contemporary Ballet si cimentano in una serie di happening scatenati, in cui non solo il controllo della tecnica ma anche la resistenza fisica è messa a dura prova.

I giovanissimi interpreti dopo una serie di passaggi a coppia leggibili e ben eseguiti, appaiono piuttosto tesi nei momenti di insieme iniziali, peccando talvolta di sincronia. Il ghiaccio tuttavia si rompe ben presto con gli assoli in cui ogni elemento libera il proprio magnetismo polare, così che una singola dinamica ne innesca un’altra secondo una reazione a catena fatta di scatti, urti e accenti. Tutto ciò provoca una suggestiva sovrapposizione di corpi ed immagini, una splendida danza di atomi e particelle in cui spicca la contagiosa energia di Rebecca Gollwitzer.

Da menzionare anche la sinuosità di Gaia Triacca che riesce a danzare, con ritmo costante, un suono assordante e monotono. A primo impatto questa scelta musicale sembra voler un po’ stordire lo spettatore ma cela invece la genialità di Wayne McGregor: ruotando leggermente il capo nei diversi angoli di amplificazione l’udito avverte il suono in maniera totalmente differente ed ogni volta che la danzatrice esegue un passo sembra che lo faccia sempre su tonalità nuove!

Il finale di Polar Sequences conferma i buoni risultati che il Milano Contemporary Ballet ottiene ogni qual volta che si confronta col repertorio McGregor. In quest’ultima parte, sulle note metalliche ed infernali di Marilyn Manson, tutto il corpo di ballo si scatena in una danza “sabbatica”, focalizzandosi sull’interpretazione del brano: distesi a terra supini, i danzatori inarcano, gonfiano e spalancano il torace, diventando un tutt’uno col pavimento, pulsando e vivendo con esso.

Il secondo tempo della serata è dedicato a Chronos una coreografia inedita firmata a quattro mani da Roberto Altamura e Vittoria Brancadoro, incentrata sulle inquietudini che riguardano l’inesorabile scorrere del tempo, un tempo che molto spesso ci sfugge senza poterlo controllare e ancor meno gestire.

La performance si suddivide in cinque sessioni, ovvero cinque duetti con intermezzi corali rinominati in ordine di successione Utopia, Senza Fine, Monotonia, Presente, Oltre il Muro. Ciascuno di questi è caratterizzato da una scelta cromatica precisa, sia per il design di luci (Valerio Tiberi e Manuel Garzetta) che per i tessuti colorati dei costumi (Beatrice Garofoli) rispecchiandone probabilmente il profilo emotivo.

Utopia, danzato da Andrea Cipriani insieme a Nadja Güsewell sulle nostalgiche e commoventi note di Opus 37 di Dustin O’Halloran, racconta della paura più grande dell’uomo, ossia dell’assenza di tempo. I due danzatori rimarcano dolcemente con un poetico gioco di sguardi e rincorse quella sensazione di vuoto, quel senso di perdita che deriva dal tempo gettato a ricercare affannosamente qualcosa di molto meno prezioso di ciò che già si possiede. I loro volti sono distesi, in accordo ed armonia con lo spazio intorno, i movimenti si confondono nell’alone di luce verde che li circonda: verde come la speranza di serenità, come il colore della natura, di una vita in pace. Ma la vita stessa è in fin dei conti utopia poiché sfugge purtroppo all’ideale di equilibrio.

Senza Fine è il secondo pezzo di questa coreografia ed il titolo è preso in prestito dal brano che gli fa da colonna sonora: Senza Fine di Gino Paoli. Vestiti in abiti da sera ed avvolti da un bagliore notturno Francesco Corvino e Giulia Salicetti si afferrano, si allontanano, si rincorrono, in una parola, si appartengono perché la loro danza rievoca le memorie di una storia d’amore. Il ritmo prende vita da un silenzio intimo e confidenziale mentre il movimento si genera da una corsa: fiacca per lui che si esprime più volte con la frase «Quanto manca?», e instancabile per lei che controbatte con «Non lo so». Dopo un loop di alcuni minuti lo sketch si arresta bruscamente per lasciar spazio al romantico passo a due e lo spettatore non può che domandarsi dove erano diretti i due protagonisti. La risposta è in realtà sottintesa: da nessuna parte, poiché non ha importanza. Il senso della pièce è proprio quello di dare un freno ai ritmi serrati di ogni giorno, quei ritmi “senza un attimo di respiro”, fermarli e vivere un presente fatto di emozioni, di quell’amore che non ha un ieri, non ha un domani, ma è infinito e sterminato come un cielo blu notte.

Seguono come diretta conseguenza Monotonia e Presente, strettamente connessi tra loro ma decisamente opposti. Come vivere appieno il presente senza aggrapparsi ad esso e cadere nella ripetitività? Come evitare la monotonia se vivere hic et nunc è la chiave per non sprecare il proprio tempo? Monotonia sia apre con il solo di Gaia Triacca, che danza a ritmo di un ticchettio di un orologio e di una voce femminile in sottofondo. Rappresenta un monologo ossessivo, il lamento di chi rimane incastrato nel proprio tempo, di chi ritorna sempre al punto di partenza senza mai trovare una via d’uscita da un presente fossilizzato. Sopraggiunge Michela Scaccabarozzi, la partner perfetta per un duo affidato ancora una volta alla musica di Dustin O’Halloran, e che si snoda tra le note labirintiche e claustrofobiche di Minim.

Presente è un duo dal sapore ottimistico e di forte carica vitale, una coreografia particolarmente dinamica e vorticosa eseguita da Rebecca Gollwitzer in coppia con Laureane Coutelard. Riporta all’idea della ciclicità del tempo, del suo continuo rimbalzare nell’istante presente, suscita sensazioni calde, come quella di un mulinello di sabbia in moto perpetuo. A stimolare queste visioni sono in primis le note di Circling di Four Tet, ma anche gli abiti disegnati da Beatrice Garofoli, che qui sceglie di utilizzare la luminosità del colore arancione, in contrapposizione al rosso minaccioso di Monotonia.

Oltre il Muro è la quinta ed ultima sessione di Chronos, epilogo della serata in cui oltre alla coppia formata da Angelo Fusco e Diletta Antolini, prendono parte tutti i danzatori del Milano Contemporary Ballet. Impegnati ad eseguire bellissimi passaggi in spirale e ad esplodere di energia in un atto di ribellione contro un tempo arrogante, la loro danza esprime la volontà dell’individuo di riscattarsi dai limiti che il tempo impone, rimettendosi in gioco ed auspicando al miglioramento. Sbocciare a nuova vita. E non c’è brano migliore di Lotus Flower dei Radiohead (nella versione remix di Jacques Greene) per comunicare questo senso di rinascita e congedare il pubblico di Milano che entusiasta dedica ai giovani talenti della compagnia e a tutta l’organizzazione un lungo e fragoroso applauso.

Andrea Arionte

28/04/2018

Foto: 1.-3. Milano Contemporary Ballet, Polar Sequences di Wayne McGregor, ph. Benedetta Pitscheider; 4.-11. Milano Contemporary Ballet, Chronos di Vittoria Brancadoro e Roberto Altamura, ph. Benedetta Pitscheider

 

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