La recensione

Il Balletto Reale delle Fiandre al Teatro La Fenice. Sidi Larbi Cherkaoui e Jeroen Verbruggen sulle note di Musorgskij, Ravel e Debussy

Passato e contemporaneità nel trittico di balletti presentati dal Royal Ballet Flanders alla Fenice di Venezia. Ha aperto Exhibition, coreografia elegante e raffinata, quasi cinematografica del direttore della compagnia belga Sidi Larbi Cherkaoui. A seguire Ma mére l’Oye del belga Jeroen Verbruggen: l’amore fra il re Baldovino e la regina Fabiola diventa spirituale universale. In chiusura Faun di Cherkaoui con i corpi del fauno e della ninfa che celebrano la scoperta di se stessi e al contempo del loro essere complementari.

Il Royal Ballet Flanders, compagnia belga fondata nel 1969 dalla pioniera Jeanne Brabants e attualmente diretta da Sidi Larbi Cherkaoui, è approdata questo mese sul palcoscenico del Teatro La Fenice di Venezia, dimostrando come la danza riesca, più di ogni altra forma d’arte, a legare passato e contemporaneità.

Il trittico presentato a Venezia si apriva con Exhibition, creazione coreografica dello stesso Sidi Larbi Cherkaoui, sulle note di Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij, nella versione orchestrata da Maurice Ravel.

Il compositore russo creò questa partitura nel 1874, come fosse un diario delle impressioni di un visitatore che passeggia tra i quadri di una mostra, un omaggio all’amico e pittore defunto Victor Hartmann. Partendo da questo spunto, anche la coreografia di Cherkaoui parla dell’amore per una persona che non c’è più. Per il linguaggio corporeo, il coreografo si ispira alle danze folcloriche, dandone una declinazione del tutto personale. Ai movimenti fluidi e veloci delle mani unisce il rituale islamico dei dervisci rotanti. Il risultato è un gioco di corpi fluenti, velocissimi eppure estremamente precisi, nelle linee e nel sincronismo.

Momenti di vuoto scenico, in cui risaltano in controluce possenti danzatori, si alternano ad altri in cui le donne si muovono come bambole di porcellana, catturate tra immaginarie pareti trasparenti create da gigantesche cornici dorate, opportunamente spostate dagli artisti stessi.

L’effetto delle scenografie e dei costumi curati da Tim Van Steenbergen è quello di eleganza assoluta: ballerine in lunghi abiti damascati, le cui movenze richiamano il Berezka russo, altre in punta di piedi vestite di leggero chiffon variopinto, che sembrano farfalle delle specie più rare e pregiate, uomini bellissimi ed eleganti che danzano su sedie di velluto rosso. Tutto ha il denominatore comune della raffinatezza.

Le rotazioni delle cornici auree e i giochi di luce magistralmente condotti da Fabiana Piccioli, creano un gioco scenico di profondità e spazi che ammalia lo spettatore, già confuso dall’inebriante bellezza del teatro veneziano, che sembra così quasi portato in scena. Più che una rappresentazione teatrale pare si tratti di un film, perfettamente diretto ed equilibrato nell’alternanza tra le visioni di insieme e i primi piani. I danzatori a volte sono immortalati, come all’interno di quadro, in una sorta di fermo immagine. È proprio sulla lotta continua che ciascuno combatte con il proprio ritratto che Cherkaoui vuole richiamare l’attenzione. Come vediamo noi stessi? Come vogliamo che gli altri ci vedano? Come dobbiamo farci vedere?

Con Exhibiton il coreografo ci mostra lo sguardo che libera. I protagonisti in scena sembrano gridare; si tratta di un grido per essere riconosciuti e visti. Un desiderio umano e profondo da cui tutti siamo accumunati.

Se l’originalità è ciò che contraddistingue questo balletto, sicuramente l’immaginazione è il motore artistico di Jeroen Verbruggen in Ma mére l’Oye, con cui ha proseguito la serata.

Per il coreografo belga la musica è un’evocazione immediata di immagini concrete. Nel caso di Pavane pour une infante défunte e Ma mére l’Oye, (le opere musicali di Ravel a cui Verbruggen si ispira in questa creazione), si trattava del rapporto amoroso fra il re Baldovino e la regina Fabiola. La rappresentazione del coreografo, pur con richiami effettivi nelle immagini, assume però una dimensione più ampia, parlando soprattutto di un rapporto amoroso spirituale universale.

Pavane, con cui inizia la pièce, per Verbruggen deve essere considerato il percorso della vita di una coppia reale, fino alla morte del re. La strada che la regina compie successivamente, sulle note di Ma mére l’Oye, è costituita dalla ricerca per ritrovare l’amore interiore. La regina viene accompagnata e consolata da un personaggio che Verbruggen ha chiamato Alma, in spagnolo “anima”. Questo personaggio è la pura essenza della regina: sa già che soltanto con la morte della regina potrà avere luogo l’abbraccio tanto agognato. Nel frattempo, fra la regina e Alma si trova la risposta, la via interiore verso la liberazione.

L’immagine creata da Verbruggen e dallo scenografo Tim Van Steenbergen per dare forma a questa fiaba è un enorme cerchio, precisamente un cilindro di organza bianca, metafora del confine sottile tra la vita e la morte. Inizialmente questo elemento delimita lo spazio d’amore e d’azione tra il re e la regina, coinvolti in un pas de deux eseguito in maniera impeccabile sia tecnicamente che liricamente. Il sentimento è palpabile, la platea ama con gli artisti e della loro immagine si inebria.

Nella coinvolgente apoteosi cosmologica, Verbruggen riunisce la coppia per l’eternità. Il palcoscenico è invaso da una moltitudine di re e di regine, grazie al potere dell’arte che può aprire lo sguardo su una rappresentazione più ampia, più collettiva, senza mai uguagliare tutti gli individui, ma rispettandone invece l’alterità.

La chiusura dello spettacolo è stata affidata ad un passo a due dal forte richiamo storico, dal titolo Faun. Nella memoria collettiva, Il Fauno fa riferimento alla creazione originale della coreografia di Vaslav Nijinsky, Prélude à l’après-midi d’un faune, che nel 1912 diede luogo ad una notevole agitazione. Non soltanto violava i codici usuali dei costumi da danza, ma fu soprattutto la scena finale a provocare uno scandalo. Un secolo dopo, Sidi Larbi Cherkaoui, su richiesta di Sadler’s Wells di Londra, creò il suo Fauno. Mentre i ballerini di Nijinsky compiono ancora movimenti soprattutto bidimensionali, nella versione di Cherkaoui la componente mitologica e quella animale sono espresse con molta più forza, in un linguaggio gestuale realmente tridimensionale. L’attenzione si concentra soprattutto sul fatto che il fauno è mezzo uomo e mezzo animale e i suoi movimenti sono più selvaggi e noncuranti. La creazione di Cherakoui si articola attraverso un passo a due, perché il fauno incontra la sua controparte femminile.

L’interazione fra il fauno e la ninfa è innocente e allo stesso tempo carica di tensione sessuale, come nella coreografia di Nijinsky.

Particolare la partitura sonora. Cherkaoui chiese al compositore Nitin Sawhney di intercalare il suo linguaggio musicale alla musica di Debussy: la transizione tra gli stili musicali è quasi impercettibile. I costumi di Hussein Chalayan sono naturali e organici, ma anche molto attuali: i personaggi diventano così archetipi secolari, esseri di oggi. L’intreccio dei movimenti tra i due danzatori è tale che sembrano una cosa sola. I due stupendi corpi celebrano la scoperta di se stessi e al contempo del loro essere complementari.

Il messaggio chiaro e lampante delle tre creazioni portate magistralmente in scena dal Reale Balletto delle Fiandre è che, per il suo privilegiare il rapporto del corpo con lo spazio e con il tempo, la danza è l’arte, oggi più che mai, in grado di rappresentare la complessità del presente.

I conflitti tra individuo e collettività, tra naturale e artificiale, tra maschile e femminile; tutto questo viene affrontato senza temere di oltrepassare confini, regole o canoni estetici, con lo scopo di rintracciare anche nel passato le chiavi per nuovi livelli di conoscenza e consapevolezza.

Annalisa Fortin

22/12/2017

Foto: 1.-6. Balletto Reale delle Fiandre, Exhibition di Sidi Larbi Cherkaoui, ph. Filip Van Roe; 7.-13. Balletto Reale delle Fiandre, Ma Mère l’Oye di Jeroen Verbruggen, ph. Filip Van Roe; 14.-16.  Balletto Reale delle Fiandre, Yevgeniy Kolesnyk e Virginia Hendricksen in Faun di Sidi Larbi Cherkaoui, ph. Filip Van Roe.

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