La recensione

Cenerentola di Rudolf Nureyev. Applausi al Caracalla Festival

È stato un bel successo di inizio estate, sul palcoscenico di Caracalla, la messinscena di Cenerentola, balletto nell’originale versione di Rudolf Nureyev, per la prima volta interpretato dal corpo di ballo dell’Opera di Roma. Ambientata a Hollywood negli anni Trenta, la trama si trasforma qui in un’avventura cinematografica: un “film nel film” di cui Cenerentola diventa la protagonista assoluta grazie al naturale talento e alla personalità. Da parte di Nureyev, un omaggio al grande cinema, ma anche una riflessione disincantata sul mondo di Hollywood, teso ad esaltare la giovinezza e a “bruciare” i talenti. Riuscita la ripresa per Caracalla con la supervisione di Eleonora Abbagnato. Applauditissimi Rebecca Bianchi (Cenerentola), Michele Satriano (Principe/Attore), Alessio Rezza (il Produttore). Esilaranti Susanna Salvi e Alessandra Amato (le Sorellastre), Claudio Cocino (il Maestro di ballo), Giuseppe Depalo (la Matrigna).

È andato in scena al Caracalla Festival, dal al 4 luglio 2023, Cenerentola, balletto in tre atti nella singolare versione coreografico-registica di Rudolf Nureyev e sulle note celebri di Sergej Prokof’ev. Un notevole impegno per il Corpo di ballo capitolino diretto da Eleonora Abbagnato, alle prese per la prima volta con la mastodontica produzione del 1986 targata Opéra de Paris. In una raffinata struttura corale, il balletto disegna con cura i personaggi chiave del racconto, impreziosendo la scena con proiezioni in stile cinematografico, tra le imponenti costruzioni scenografiche di Petrika Ionesco e i variopinti costumi di Hanae Mori.

Quadri di fiabesca atmosfera nascondono tuttavia, nella riscrittura nureyeviana, una visione disincantata, a tratti profondamente cinica, del grande mondo del cinema: un universo di illusione, divoratore di carriere giovani, da cui il divo stesso era stato attratto negli anni dei suoi trionfi (nel 1977, era anche stato protagonista di Valentino con regia di Ken Russel). La sua Cendrillon la immaginò dunque, non a caso, in una grigia Los Angeles degli anni Trenta, ad un passo dalle luci e dal sogno di Hollywood. Soprattutto, la reinventò sulle linee sinuose e sull’espressività moderna di Sylvie Guillem, all’epoca giovane stella del balletto francese, pronta a volare sui tetti del mondo verso una carriera di ineguagliati successi.

La storia ha inizio, come da tradizione, tra le stanze polverose della casa di Cenerentola, vessata dalla matrigna e dalle due sorellastre che aspirano ad un futuro nel cinema. Impegnata nelle faccende domestiche, oltre che nel contenere i malumori del padre alcolista, la fanciulla nasconde sotto gli abiti sdruciti il sogno di fare l’attrice e di danzare i ruoli di una vita gioiosa. Sarà proprio il suo talento a “salvarla”, quando un solitario produttore cinematografico, “scaraventato” in casa da un improvviso incidente, deciderà di portarla con sé ad Hollywood a bordo di una fiammante automobile. Il secondo atto, su cui incombe uno scenario alla Tempi Moderni, è una lente di ingrandimento sugli studi cinematografici e sulla macchina hollywoodiana, tra scene di film, dietro le quinte, attori e comparse, costumi, operatori e cineprese. A dirigere il tutto, il carismatico produttore – interpretato, nella versione originale, dallo stesso Nureyev – attento ad ogni minimo dettaglio e a scegliere con cura i protagonisti del suo prossimo colossal.

Cenerentola, ora nelle vesti di attrice protagonista del nuovo film, fa il suo ingresso tra i flash dei fotografi, circondata da un’aura argentea alla Cyd Charisse. Nel suo abito rosa chiaro, danza al centro della scena richiamando l’attenzione di tutti i presenti sul set: tra loro, l’affascinante primo attore, abbigliato da “principe”. Mentre l’amore tra i due timidamente nasce, la fatidica mezzanotte interrompe il sogno, costringendo la giovane a fuggire frettolosamente, tallonata da un’inclemente danza dell’orologio. Unica traccia alle sue spalle: l’iconica scarpetta. Dopo un’estenuante ricerca nei locali notturni della città, tra taverne, fumerie d’oppio e cabaret (singolare versione delle danze dal mondo, caratteristiche delle versioni più tradizionali del balletto), il principe/attore ritroverà l’amata nella grigia stanza del primo atto. Sul finale, una gigantesca locandina luminosa comparirà sullo sfondo, immortalando il romantico sguardo delle due giovani future star.

Ripreso a Caracalla da Aleth Francillon, Gillian Whittingham, Benjamin Pech e con la supervisione di Eleonora Abbagnato, il balletto di Nureyev rivive magicamente sull’ampio palcoscenico grazie alle imponenti scenografie e al corposo ensemble danzante. Sull’alto megaschermo, una serie di immagini che ritraggono la protagonista ci trasportano tra i suoi sogni e le sue sventure, amplificando il dramma familiare e poi la felice svolta finale. Lo stile coreografico è ricco di passi e di composizioni: da una traccia neoclassica, si evolve in movimenti continui, rotondi, vellutati, perfettamente disegnati sulle note di Prokof’ev. L’inventiva di Nureyev brilla particolarmente nei brani d’insieme, straordinariamente ariosi e dagli ingegnosi intrecci. Così come in diverse scene stilisticamente originali: l’assolo di Cenerentola del primo atto, vestita da Charlot, con scarpe da tip-tap e intenta a danzare con un attaccapanni come Fred Astaire; le scene-omaggio del secondo atto ai grandi film della storia (uno per tutti: King Kong); e ancora, le divertenti sequenze ideate per la matrigna e le sorellastre, alle prese con un integerrimo maestro di ballo e giocando con eccessivi en dedans e en dehors, e gli assoli del produttore, presente in scena in diversi camuffamenti (prima ospite inaspettato in casa di Cenerentola, poi con occhiali e baffi alla Groucho Marx, infine attento produttore nell’immenso scenario hollywoodiano).

Nel ruolo che fu di Sylvie Guillem, l’étoile Rebecca Bianchi risplende per delicata eleganza: nel primo atto passa agevolmente da lirici passaggi a brillanti assoli, liberando il suo personaggio del grigiore familiare e vestendolo di speranza. Con le sue linee scolpite, la ballerina ben si districa tra le difficili sequenze tecniche (ideate da Nureyev, all’epoca della creazione, sulla caratteristica flessibilità di Guillem), accordandole al suo gesto aggraziato e puntuale. Ben le riesce anche l’esercizio di stile sul tip-tap del primo atto, deliziosa nell’ampio abito alla Charlot. Le scene più belle restano quelle dei pas de deux con Michele Satriano, primo ballerino qui nelle vesti del principe/attore, con cui Bianchi rivela il suo peculiare candore. Da parte sua, Satriano si presenta a Caracalla in forma smagliante, accostando ad un’espressività vivace un’inappuntabile precisione tecnica nelle (notoriamente) difficili sequenze nureyeviane.

Perfetto l’étoile Alessio Rezza nel ruolo del produttore: abilissimo negli sguardi e nelle espressioni del volto, regge il confronto con il grande Nureyev, grazie ad un carisma naturale e ad un minuzioso studio del personaggio. Molto brave le étoile Alessandra Amato e Susanna Salvi nei panni delle sorellastre: divertentissime nelle scene accanto a Claudio Cocino, maestro di ballo dal piglio rigoroso, e con Giuseppe Depalo, straordinario nel ruolo della matrigna (già ne La Fille mal gardée ne avevamo apprezzato la verve interpretativa). Travolgente infine il corpo di ballo nelle numerose scene d’insieme (nel gruppo anche alcuni giovani e disciplinatissimi allievi e allieve della Scuola di danza dell’Opera di Roma). L’ampio pubblico di Caracalla, assorto durante lo spettacolo (di oltre due ore), ha applaudito con entusiasmo tutti i protagonisti e il maestro Alessandro Cadario, al suo debutto con l’orchestra del Lirico capitolino. Una produzione di successo, che ha inaugurato elegantemente la stagione estiva e che impreziosisce di un nuovo grande titolo il repertorio della compagnia diretta da Eleonora Abbagnato.

Lula Abicca

Foto: Cenerentola di Rudolf Nureyev, Rebecca Bianchi (Cenerentola), Alessandra Amato e Susanna Salvi (sorellastre), Giuseppe Depalo (matrigna),  Alessio Rezza (Produttore), Michele Satriano (Attore principale), Claudio Cocino (Maestro di Ballo),  Damiano Mongelli (il padre). Servizio fotografico di Fabrizio Sansoni, Opera di Roma.

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