La recensione

Corpus Hominis, Enzo Cosimi sulla bellezza e sulla diversità

È andata in scena alle Carrozzerie n.o.t di Roma per Teatri di Vetro 10, l’ultima creazione di Enzo Cosimi dal titolo Corpus Hominis. Secondo capitolo della trilogia Ode alla bellezza, tre creazioni sulla diversità, il lavoro porta in scena una coppia di uomini, uno giovane e uno maturo, in un confronto al buio che riflette sull’anzianità e sull’omosessualità nella società contemporanea. Spettacolo per pochi, disarmante e cinico, spietato e commovente, Corpus Hominis conferma il segno di un regista sapiente che divide il pubblico, creando sempre nuovi spunti di riflessione. Perfetti Matteo Sedda e Lino Bordin, interpreti di un’opera dura e intensa.

Divinità adorata e demone travestito, la bellezza si nasconde negli anfratti oscuri di un’umanità ai margini, colpevole e vittima di una storia mai risolta. Il coreografo Enzo Cosimi, equilibrista del racconto contemporaneo, torna a parlarne in un’Ode in tre tempi (una trilogia sulla bellezza e sulla diversità inaugurata nel 2015) in bilico tra lirismo e impassibilità, commozione e glacialità, spudoratezza e candore.

Corpus Hominis, ultima creazione dell’autore, in scena lo scorso 30 settembre 2016 (e in replica il primo ottobre)  alle Carrozzerie n.o.t di Roma per Teatri di Vetro 10, segue ad un anno di distanza il primo studio La bellezza ti stupirà, anch’esso adattato ai singolari spazi del riqualificato angolo artistico del quartiere Testaccio; un luogo di lavoro e quotidiana fatica di cui le Carrozzerie sembrano conservare il ricordo, tra l’ordinarietà e il sudore di una comunità che vive, soffre e si ribella.

Il primo capitolo della trilogia portava sulla scena un gruppo di senzatetto, protagonisti di un quadro poetico e doloroso che, attraverso le lusinghe glamour di una modernità assuefatta all’immagine, inchiodava lo sguardo dello spettatore ad una realtà generalmente invisibile e volutamente ignorata. Le luci abbaglianti di quella società capovolta, lungo una passerella che lasciava sfilare le icone in pelliccia di un mondo sotterraneo e rimosso, lasciano il campo oggi al buio totale di Corpus Hominis; un buio della coscienza in cui Cosimi sceglie di immergersi senza giudizio, con l’istinto di un cantastorie maledetto che si rifiuta di rivelare la morale della propria favola.

Entrando nella stanza rettangolare e scura, smarriti in un gruppo serrato, ci affidiamo ai segnali della paura cercando tra gli altri spettatori i complici e i possibili eroi di un’esperienza nell’ignoto. Il timore del buio si acquieta sulle scintille brevi di un accendino che con serafica compostezza illumina e spegne i tratti di un volto. Nessuna espressione in quei tratti, ma i solchi di un vissuto corrugato, incendiato da mille rivoluzioni e spento da altrettante rinunce. Ne scopriamo in seguito il corpo adagiato su un fianco, simile ad un fiero ed antico romano con le pudenda nascoste da un tessuto prezioso: immagine solenne di un’anzianità statuaria esposta allo sguardo a LED di una contemporaneità inquieta.

Alle spalle e tutt’intorno, un giovane silenzioso inquadra (e illumina con un cellulare moderno) dettagli e sezioni del corpo anziano, cercandovi forse antiche testimonianze e profetiche iscrizioni. Ne seguiamo le gesta lungo il percorso tra le colonne buie che ci impongono di camminare e allungare il collo, inconsapevoli attori, noi stessi, di una rappresentazione più che reale. Quasi non ci accorgiamo del repentino scambio tra soggetto e oggetto di luce quando, d’improvviso, è il giovane uomo a diventare il protagonista di una scena turbolenta, a metà strada tra l’esposizione sfacciata di una nudità aitante e l’esternazione di un disagio incontenibile, ingenuamente aggressivo e disperatamente fragile tra gli sguardi vitrei di una società indifferente.

Immagineremo molto sui due uomini, penseremo ad un incontro fuori dal tempo tra due anime e due generazioni, specchio di una storia che muta gli esiti del disagio umano senza in fondo scardinarne le origini. Ci troveremo disarmati di fronte a quella Pietà scolpita sotto i nostri occhi in cui l’anziano abbandonerà tra le braccia del giovane la propria anima potente di uomo fragile, peccatore e santo, sofferente e quieto.

Regista sapiente, Enzo Cosimi ci lascerà soli a guardare le immagini di un grande schermo, in un montaggio atroce e veloce quanto i nostri pensieri: scene di ordinaria violenza, folle in tumulto, rimostranze contro l’omosessualità, fotogrammi di erotismo esplicito e poi un unico messaggio solitario: what’s the point of revolution? E continueremo a vederla quella rivoluzione, in corso e silenziosa, che ancora urla e forse dimentica gli eroi che ne avevano generato i fragori, e che ancora si agita nel buio, tra le pieghe stanche di anime vissute e i nervi giovani di corpi arrabbiati.

Tra le luci fioche delle carrozzerie n.o.t, gli spettatori indugeranno ad abbandonare il campo, immersi negli audioracconti di vita reale raccolti da Cosimi in diverse città d’Italia: testimonianze di quotidiana rivoluzione su un libro di storia da continuare a sfogliare per minuti, ore e giorni interi. Lo spettacolo non ha bisogno di applausi e ogni spettatore avrà sempre facoltà di lasciare la scena, ma è nelle timide carezze di una coppia, negli occhi lucidi di una donna assorta, nel sorriso pensieroso di una giovane spettatrice che comprenderemo l’effetto di un’opera intensa, dura, commovente. Perfetta l’interpretazione dei due protagonisti, il giovane e ferino Matteo Sedda (attualmente anche danzatore per il geniale e discusso artista belga Jan Fabre) e Lino Bordin, volto straordinario di regalità senza tempo.

Spettacolo per pochi. Da vedere.

Lula Abicca

06/10/2016

Foto: 1.-3. Lino Bordin, Corpus Hominis di Enzo Cosimi, ph. di Lorenzo Castore; 4.-7. Corpus Hominis di Enzo Cosimi.

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Un Commento

  1. Deha09

    Grazie per questa recensione così appassionata. Pur non avendo visto lo spettacolo, chiudendo gli occhi, lo potrei immaginare. Ho sempre pensato alla danza come rifugio, evasione, bellezza e sogno. Qui credo che la mia – personalissima – visione della danza vacillerebbe non poco. Ma il senso della danza acquista sempre un significato diverso, divide e unisce. E il bello è anche questo.

    Ott 06, 2016 @ 22:15:50

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