L'intervista

Damiano Artale, un ritratto in danza

Damiano Artale è solista di Aterballetto dal 2013, dopo aver fatto parte del Ballet de l’Opéra National du Rhin e del Ballet du Grand Théâtre de Genève. Ci incontriamo per un caffè a Reggio Emilia, dove mi parla dei suoi inizi, del suo presente con Aterballetto, della sua attività di coreografo e insegnante. Interprete di due duetti di punta di Aterballetto - 14’20’’ di Jiří Kylián e e-link di Michele Di Stefano - ecco come si racconta.

Quali sono stati i tuoi inizi col mondo della danza?

Ho sempre ballato magari strada, davanti alla TV… Ho messo piede nella prima scuola di danza a 11 anni; però fin dall’età di 3 anni frequentavo alcune palestre perché mia sorella era majorette… ed ero un po’ la mascotte del gruppo. Poi, per fortuna, mio fratello ha iniziato a frequentare una ragazza che insegnava danza e non aveva maschietti a scuola. Mi vide e mi invitò a fare il saggio di fine anno. All’inizio, mio fratello e mia sorella non erano molto favorevoli a farmi studiare danza: però soprattutto mio fratello fu molto colpito da quel saggio. Successivamente mi spostai in una scuola di Siracusa dove rimasi fino ai 16 anni. Dopo un inizio di moderno e contemporaneo incominciai ad affrontare anche il classico. E poi provai ad entrare in diverse accademie perché il classico andava affrontato in maniera seria: entrai in quella del Teatro alla Scala di Milano. Mi sono diplomato con Frédéric Olivieri anche se la ‘mia’ direttrice resta Anna Maria Prina: fu un periodo di passaggio perché lei stava lasciando mentre Olivieri arrivava. L’esame all’ottavo anno andò bene, nonostante non fossi certo il ‘prototipo scaligero’. Ed erano già incominciate le prime esperienze in scena: per esempio, già dal sesto anno avevo lavorato con Francesco Ventriglia ad una produzione in scena al Teatro Smeraldo mentre l’ultimo anno venni scelto da Pompea Santoro come Carabosse nella suite dalla Bella addormentata di Mats Ek.

Come sei arrivato al Ballet du Grand Théâtre de Genève?

Dopo una stagione al Ballet de l’Opéra National du Rhin, che per un inizio poteva andare più che bene, mi fu consigliato di provare a Ginevra anche se da cinque anni non assumevano nessuno. Alle audizioni fummo solo in due a passare, nonostante si fossero presentati una novantina di candidati. Ginevra fu una tappa importante, già solo per una maggior indipendenza economica. Era poi una compagnia che viaggiava moltissimo. Il repertorio era molto eclettico: dalla danza francese degli anni Ottanta fino a creazioni di Andonis Foniadakis. La situazione in compagnia era molto particolare: ero il più giovane mentre il resto era ormai sulla trentina. Loro avevano voglia di passare il testimone… io invece ero appena agli inizi. Arrivò dopo un anno il Romeo e Giulietta di Joëlle Bouvier che era una creazione tecnicamente difficile ma molto gratificante. L’ho ballata spesso anche in Italia.

Aterballetto invece com’è arrivato?

Un po’ per caso. A Ginevra ho ballato molto, moltissimo, ma dopo un po’ venne meno il confronto che invece considero indispensabile per una maturazione artistica. A Ginevra non esistevano, ad esempio, secondi cast che erano visti un po’ come dei salvagenti quando il primo cast era impossibilitato ad esibirsi. Io volevo danzare, crescere non ‘monopolizzare’ un ruolo. Ero orientato verso il Cedar Lake Contemporary Ballet: mi piaceva sia il repertorio che l’idea di trasferirmi a New York. Andai a farmi vedere insieme a Madeline Wong, già mia partener in molte occasioni a Ginevra. Si liberò un posto solo per una donna e presero lei. Avevo già visto Aterballetto in scena al Teatro Piccolo a Milano e mi resi subito conto di vedere dei danzatori eccellenti. I lavori di Bigonzetti potranno piacere o meno ma necessitano di uno standard tecnico molto elevato. Inviai una e-mail a Cristina Bozzolini che mi chiamò quasi subito dopo. Feci inizialmente un’audizione solo coi maîtres che si dissero molto soddisfatti.

Com’è stato lavorare con Jiří Kylián a 14’20’’?

All’inizio venne Aurelie Cayla a rimontare il pezzo e con lei facemmo due giorni di audizioni interne. Sinceramente alla fine del secondo giorno ancora non avevo capito chi avrebbe ballato il passo a due: Aurelie lavorò in modo davvero equo con la compagnia dando correzioni a tutti. Credo che l’aspettativa fosse alta da parte di ognuno di noi. D’altronde significava ballare Kylián che per me forse è il numero uno fin dai tempi in cui vidi per la prima volta una sua creazione in scena, Petite Mort. E alla fine venimmo scelti per il primo cast io e Serena Vinzio. È un lavoro tecnicamente difficile, pieno di dettagli e di senso. Kylián è arrivato alla generale e alla prima: non sto nemmeno a spiegarti come mi sentivo. Ancora due giorni prima alcune cose non venivano. Si dimostrò però una persona di una sensibilità e umanità uniche dandoci diversi consigli dopo la generale. Una cosa che ricorderò sempre è quando ci disse: «Ragazzi, rischiate! Perché se rischiate avrete il 50% di possibilità di fare qualcosa di straordinario e il 50% qualcosa di mediocre: se non rischiate, avrete solo la possibilità di fare qualcosa di mediocre». E credo abbia ragione. Alla prima venne a complimentarsi, dicendoci che ora spettava a noi far crescere questo passo a due.

Passiamo invece a e-link di Michele Di Stefano.

Devo dire la verità: la mia prima reazione quando vidi il passo a due in video non fu propriamente entusiasta… mi sembrò un lavoro datato e lontano da quell’universo di movimento che mi piace danzare. Ma questo non significa che sia più ‘facile’, anzi. Non tanto da un punto di vista tecnico quanto da un punto di vista espressivo. Oggi è un pezzo che mi diverte molto: con Philippe Kratz con cui lo interpreto si è creato un bel feeling e anche Michele Di Stefano mi ha lasciato libertà a livello interpretativo. È un brano che amo ballare soprattutto in spazi piccoli perché ha bisogno di una maggior vicinanza col pubblico, cosa difficile da ottenere in un teatro d’opera.

Con quali altri coreografi ti piacerebbe lavorare?

Senz’altro Ohad Naharin: ho avuto modo di fare alcuni workshop con suoi assistenti, quindi solamente di sfiorare il suo repertorio. E Crystal Pite che per me è un genio. C’è poi Hofesh Shechter che comunque verrà l’anno prossimo a fare una creazione. Ci sarebbe Pina Bausch ma ormai non è più possibile… Però probabilmente lavoreremo con Cristiana Morganti.

Oltre che ballerino sei anche coreografo: che tipo di coreografo sei?

È una domandona… Sai che non ci ho mai pensato?

A giugno però vedremo una tua nuova coreografia…

Sì. E ti posso preannunciare che è un solo. L’anno scorso ne ho fatta una per quattro danzatori. Per provare a rispondere alla domanda di prima, posso dirti che alla base del mio lavoro c’è la bellezza: bellezza non intesa in termini di ‘capelli biondi e occhi azzurri’ ma la bellezza di un gesto o di un’immagine. Quando creo ho bisogno di artisti veri, che sappiano recepire il mio messaggio e farlo loro in modo più pungente, vero e autentico. Però nelle mie creazioni confluiscono anche esperienze della mia vita personale, magari non leggibili in maniera esplicita. Spesso una mia coreografia prende piede da un film o dalla musica: un’idea che poi si trasforma…

Hai mai pensato una coreografia partendo però da un danzatore e non da un’idea?

Certo. L’idea di fare una coreografia l’anno scorso mi venne dopo aver visto Tempesta/The spirits di Cristina Rizzo. Ho visto i miei colleghi danzarlo – io non lo conoscevo – e sono stato ispirato da loro. Poi sono arrivato a casa e ho scritto un’idea che poi ha assunto una forma diversa.

Dal punto di vista della creazione siete molto spronati da Cristina Bozzolini… Senz’altro. È prima di tutto una persona molto umana coi suoi danzatori. Anche per le cose più pratiche come una notte in più in albergo per farci riposare con più tranquillità. E sta compiendo un lavoro con la compagnia davvero ottimo perché sta cercando di organizzare il repertorio sia basandosi su cosa possa piacere al pubblico ma anche su cosa possa piacere a noi. E non è facile.

Ballerino, coreografo ma so che sei anche insegnante: che insegnante sei?

Direi divertente. Io davvero mi ammazzo dalle risate e anche i ragazzi si divertono parecchio. Non so dirti se, quando smetterò di ballare, farò l’insegnante a tempo pieno: è presto per dirlo. Però mi colpisce l’incredibile voglia di fare degli studenti. E inutile dire che mi rivedo molto in loro. Poco tempo fa ho tenuto una lezione in una scuola di Reggio Emilia e la maestra mi ha fatto notare che io e i ragazzi usavamo lo stesso linguaggio: potrei essere il loro fratello maggiore. C’è molta intesa proprio a livello di ‘slang’: così anche loro ricordano le cose con più facilità.

Secondo te in che direzione si sta muovendo la coreografia italiana? Probabilmente in una direzione di ricerca. Almeno per quello che posso vedere in me e nei giovani coreografi dell’Aterballetto. Ormai, diciamocelo, è stato creato di tutto: dubito che domani qualcuno creerà un nuovo passo. C’è voglia di sperimentare qualcosa che non sia solo danza magari attraverso la commistioni con altre arti.

Per il futuro invece come ti vedi? Per i prossimi uno o due anni sicuramente qui a Reggio Emilia con Aterballetto. Ma mi piacerebbe comunque incrementare le occasioni di insegnamento e creare nuove coreografie.

Matteo Iemmi

14/04/2016

Nel video Stained Beauty di e con Damiano Artale

 

Nel video Damiano Artale e Philippe Kratz in e-link di Michele Di Stefano:

 

Nel video Migliori, coreografia di Damiano Artale per Aterballetto

 

Nel video Damiano Artale, Valerio Longo e Giulio Pighini durante le prove di Prendimi per mano di Roberto Tedesco:

 

Nel video Damialo Artale nella sua coreografia Vivaldi Variation

 

E infine lo Showreel di Damiano Artale…

 

Foto: 1.- 5. Damiano Artale e Serena Vinzio in 14’20’’ di Jiří Kylián, Aterballetto, ph. Alfredo Anceschi; 6.-9.  Damiano Artale e Serena Vinzio in 14’20’’ di Jiří Kylián, Aterballetto, ph. Nadir Bonazzi; 10.-11. Damiano Artale e Philippe Kratz in e-ink di Michele di Stefano, Aterballetto, progetto RIC.CI, ph. Nadir Bonazzi ; 12. Damiano Artale, ph. Alessandro Calvani.

Scrivi il tuo commento

design THE CLOCKSMITHS . development DEHLIC . cookie policy