La recensione

Danza e acrobazie oltre i limiti al Napoli Teatro Festival Italia, Nous sommes pareils /Ali di Hèdi ed Ali Thabet.

E’ andato in scena al Teatro Nuovo di Napoli Nous sommes pareils/Ali un doppio spettacolo creato da Mathurin Bolze ed Ali Thabet ─ già assistente di Sidi Larbi Cherkaoui ─ per il fratello Hèdi, danzatore e performer belga di origini tunisine noto nel mondo della danza contemporanea per le sue doti acrobatiche. Hèdi Thabet in seguito ad una malattia alle ossa perse una gamba in giovane età, da allora l'impegno della compagnia è stato quello di indagare sulle capacità fisiche ed artistiche di un corpo disabile, creando lavori sul tema dell'alterità e dei limiti dell'uomo.

Quando la danza si unisce al virtuosismo non solo per favorire la spettacolarità, ma per ricercare e trasmettere immagini profonde trattando temi che coinvolgono lo spettatore sia dal punto di vista sociale che emotivo, allora si mette in scena una vera esperienza più che uno spettacolo, un vissuto potente e travolgente che supera la semplice barriera visiva. E’ questo il caso di Nous sommes pareils / Ali, due lavori di Ali ed Hèdi Thabet andati in scena al Teatro Nuovo di Napoli in un unico spettacolo.

Nel programma del Napoli Teatro Festival Italia questi due titoli di danza rientrano probabilmente fra quelli più interessanti ed intensi presentati nel corso di tutte le nove edizioni del festival campano. Entrambi, nonostante le differenze, condividono il senso drammaturgico di fondo e lo scheletro stilistico: superano le frontiere del possibile, indagano sulle memorie dell’uomo, trasformano il sentimento di angoscia e di abbandono in poetica energia attraverso un forte scontro-incontro tra corpi.

Ali e Hèdi Thabet sono due fratelli, coreografi e danzatori belgi di origini musulmane, che vantano alle spalle una formazione multidisciplinare. Ali inizia ad approcciarsi all’arte del movimento entrando in contatto con la filosofia Kung Fu per poi scoprire nell’acrobatica la propria vocazione e trasferirsi nel 1997 in Francia per perfezionarne le tecniche presso il Centre National des Arts du Cirque di Chalons-en-Champagne. Nel 2004 avviene l’incontro col coreografo Sidi Larbi Cherkaoui, per il quale danza insieme al Ballet C de la B nel dancefilm Tempus Fugit. Diventato assistente-coreografo di Cherkaoui, grazie alla sua esperienza nelle arti marziali prende parte alla realizzazione di due capolavori di ispirazione orientale firmati Eastman quali Sutra e TeZuka.

Hèdi al contrario, inizia sin da tenera età lo studio dell’arte circense presso l’Ecole de Cirque di Bruxelles e a 17 anni decide di dedicarsi totalmente alla giocoleria sotto la guida del maestro russo Arkadii Poupone. Poco più tardi un cancro alle ossa gli farà perdere la gamba sinistra, episodio che lo avvicinerà alla recitazione. Viaggiando di continuo tra Bruxelles e Tunisi in qualità di direttore artistico impara a gestire movimenti e spostamenti in assenza di deambulazione e ad insegnarli a sua volta. Ritornato in Francia, a Lione incontra l’amico e collega Mathurin Bolze della Compagnie MPTA, con il quale crea nel 2008 una cellula primordiale del duo Ali, una pièce in cui la danza, che sembrava ormai un ricordo lontano, ritorna nella sua vita sfidando i limiti di un corpo disabile, aiutandolo a ristabilire il contatto con i suoi vecchi sogni.

In Ali è incredibile come la disabilità si trasforma in abilità e diviene mezzo per stravolgere le leggi di equilibrio, giocare con la gravità e sperimentare la meccanica muscolare.

Hèdi Thabet e Mathurin Bolze si spostano e danzano entrambi con l’aiuto di un paio di stampelle; il primo per necessità, il secondo per entrare in simbiosi col compagno, immedesimandosi nella sua condizione, emulando la pesantezza del suo passo. Camminano, incessantemente, in perfetta sincronia e con il loro percorso circoscrivono una stanza buia con al centro solo una sedia ed una lampada che talvolta si abbassa. Un luogo angusto, una prigione di solitudine ed impotenza il cui soffitto sembra voler schiacciare i due interpreti.

All’inizio della performance e nei momenti di vuoto musicale, Il ritmo dei quattro bastoni che poggiano al suolo ─ che fanno da prolungamento agli arti superiori ─ scandisce un tempo ipnotico, che accelera preparando le azioni successive dei due performer. Sfruttando sostegni e scambi di peso, i due compagni si completano, si unificano in un corpo solo, un corpo con tre gambe, due busti e braccia lunghissime; si separano e si superano con acrobazie, tutte eseguite col supporto delle stampelle: slanci, flic flac, rondate e verticali elaborano immagini opposte o speculari, richiamano figure a volte ironiche a volte inquietanti, col solo scopo di mettere a nudo quanto più possibile l’asimmetria del corpo di Hèdi, renderla naturale ed armonica, una scultura da ammirare.

Roteando su se stessi, alternando i loro passi prima su l’una e poi sull’altra stampella, si generano rumori che sembrano codificati secondo uno schema coreografico definito. E’ un dialogo preciso tra due uomini che al contempo si accettano e si respingono, deridendo la paura con sguardo complice, o forse tra un uomo (Hèdi) e l’immagine dimenticata di se stesso (Mathurin), un dialogo non verbale strutturato su un linguaggio sonoro simile all’alfabeto Morse, che invita il pubblico alla comprensione dell’altro e all’urgenza di solidarietà.

Ali parla di una storia di amicizia o forse di fraternità con riferimento autobiografico al rapporto col fratello Ali, fondamentale per Hèdi negli anni più difficili della giovinezza che lo ha visto lottare con coraggio contro la malattia, quella stanza buia ed angusta dalla quale è riuscito ad evadere.  Il senso di supporto sia morale che fisico si rivela nel disegno gestuale, laddove l’uno colma gli spazi vuoti dell’altro e completa il suo movimento, o ancora occupa o sostituisce gli arti periferici e le sue estremità laterali.

Proprio nel forte legame col fratello, Hèdi ritrova la spinta per ricominciare a danzare  e tornare definitivamente a quella che è la sua seconda casa, il palcoscenico.

Nel 2012 i due fratelli realizzano un desiderio tenuto nel cassetto per lunghi dieci anni, mettendo in scena il loro primo spettacolo insieme, Rayahzone (Rayah significa “viaggio” in arabo), pensato per tre danzatori e cinque musicisti sufi che suonano il repertorio della Hadhra, coreografia che inaugura una serie di creazioni frutto di scambi artistici multiculturali ed esecuzioni dal vivo di musiche tradizionali. Tra queste nel 2013 nasce Nous sommes pareils, la pièce che come detto ha affiancato Ali in due serate di questa edizione del NTFI.

Il titolo completo di questo lavoro è Nous sommes pareils à ces crapauds qui dans l’austère nuit des marais s’appellent et ne se voient pas, ployant à leur cri d’amour toute fatalité de l’univers (somigliamo a quei rospi che nell’austera notte delle paludi si chiamano e non si vedono,
piegando al loro grido d’amore tutta la fatalità dell’universo
), titolo preso in prestito dalla penna del poeta René Char, e analizza le dinamiche del matrimonio, gli imprevisti dell’amore e le aspettative di una coppia legata da un vincolo cerimoniale.

Sulla scena Mathurin Bolze il quale in veste di sposo accompagna una donna in lungo abito bianco (la danzatrice Artémis Stavridi), percorrendo chiaramente una marcia nuziale e interpretando con espressioni e atteggiamenti i diversi volti del rapporto coniugale. Ai  loro lati una piccola orchestra suona un repertorio rébètiko misto a  musica  tunisina, celebrando le nozze.

Nei canti folkloristici echeggiano racconti dapprima malinconici e poi gioiosi, appartenenti alla tradizione popolare greca ed araba, in accordo coi momenti di dolore e felicità inscenati.

In un secondo momento sopraggiunge un uomo in stampelle, Hedì Thabet, il quale inizia a scontrarsi con lo sposo forse accecato dalla gelosia e dall’insofferenza; sembra voler liberare la sposa dalla possessività e dalla presenza del suo uomo, in quanto la donna inizia a volteggiare instancabilmente su se stessa come un derviscio, in balia di una spirale che la opprime.

Artèmis Stavridi assume aspetti diversi, evocati dalla solennità e dal misticismo delle musiche di sottofondo: il suo corpo viene spesso esposto a mezz’aria, inclinato in una serie di tilt o in equilibrio su Hèdi ─ a sua volta perfettamente stabile sulla sua gamba ─ ; la sua figura si innalza come un angelo o una dea luminosa, oppure si incupisce come un’oscura creatura figlia di intime paure, senza volto e con tre gambe, rimanendo sempre sospesa nel limbo dell’indecisione emotiva.

C’è da constatare insomma quanto entrambe le coreografie, sia Ali che Nous sommes pareils, per quanto diverse nella scrittura, risultano assolutamente interconnesse dal filo del dualismo oltre che incentrate sul realismo della diversità tra corpi. Nonostante siano state ideate a distanza di quasi  cinque anni l’una dall’altra, le due creazioni continuano a girare il mondo insieme, lontani sul piano del significante ma simili nel significato, come due cellule autonome unite da un legame indissolubile e sottile come quello che esiste fra due fratelli.

Andrea Arionte

20/07/2016

Foto di Giusva Cennamo – Cubo Creativitydesign

 

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