La recensione

Orphée et Euridyce al Teatro alla Scala di Milano. Perdersi e ritrovarsi con eleganza

Eleganza per la versione francese dell’opera lirica emblema della riforma settecentesca, in scena al Teatro alla Scala fino al 17 marzo. Accurata la direzione di Michele Mariotti con l’orchestra su un ponte mobile. La Hofesh Shechter Dance Company si esprime tra caos organizzato e sincronia perfetta. Guidata dal coreogafo Hofesh Schecter è protagonista insieme a coro, orchestra e cantanti nella messa in scena di John Fulljames. Bravi i cantanti Juan Diego Flórez, Fatma Said, Christiane Karg. Scene e costumi di Conor Murphy, light design di Lee Curran.

Eleganza. Questa è la sintesi di Orphée et Eurydice di Christoph Willibald Gluck in scena al Teatro alla Scala di Milano dal 24 febbraio al 17 marzo 2018. Si tratta della versione francese dell’opera lirica ampliata da Pierre Louis Moline (1774) a partire dal libretto di Ranieri de’ Calzabigi (1762). Uno spettacolo, quello in scena al Teatro alla Scala, con la direzione musicale di Michele Mariotti che proviene da Royal Opera House a cura del regista John Fulljames e del coreografo Hofesh Shechter. Tutti gli elementi concorrono a una accurata estetica del vedere e dell’ascoltare. Ogni compagine è protagonista: l’orchestra del Teatro alla Scala diventa personaggio in scena, la Hofesh Shechter Dance Company irrompe come altro comprimario, coro e solisti fanno la loro in un contesto scenografico di grande impatto. Ecco il trailer del Teatro alla Scala.

Eleganza, dicevo. Quella del direttore d’orchestra Michele Mariotti reduce da una applauditissima Bohéme bolognese, intanto, che dirige l’orchestra su un ponte mobile al centro del palcoscenico e non nella buca. La messa in scena del regista John Fulljames prevede che questo ponte mobile si situi almeno a tre altezze diverse, con un potente effetto espressivo scaturito dall’interazione con i ballerini, con il coro, con i protagonisti. L’esecuzione di Mariotti è curata. Si percepisce con chiarezza il fraseggio pulito, con le giuste dinamiche che in certi pianissimo sono davvero emozionanti. Belli i contrasti tra gruppi strumentali e l’orchestra per intero per dipingere sentimenti di amore, di delusione, di gioia, di lutto.  Gli assolo di flauto e di oboe hanno più effetti benefici di una psicoterapia o di un set di meditazione: con estrema precisione tecnica e con cristallina sonorità rappresentano la dolcezza dell’amore perduto e la drammaticità delle creature dell’Ade.

I cantanti sono all’altezza. Il tenore Juan Diego Flórez segue questa estetica con un Orphée dall’intonazione ferma nei passi virtuosistici e un timbro ben impastato con il suono dell’orchestra.  Ascoltate qui la versione del Royal Opera House dell’aria J’ai perdu mon Eurydice.

Certo, preferirei che Juan Diego Flórez proponesse una recitazione più moderna, come per contrasto si evince da quella di Amour, ovvero il soprano Fatma Said, che tra l’altro indossa uno sfavillante tailleur d’oro antico a cura del costumista/scenografo Conor Murphy (sto ancora cercando su Zalando  qualcosa di simile da indossare in occasioni speciali). Il soprano si muove con sicurezza, un deus ex machina che sa il fatto suo, volitivo e rassicurante. Bel timbro il suo, così come quello di Christiane Karg, Eurydice, più controllata in quanto a espressività ma sempre incisiva.

Completa lo spazio drammatico la Hofesh Shechter Dance Company che il coreografo anglo-israeliano Shechter vuole tra caos organizzato e sincronia perfetta nelle danze delle Furie e dei Demoni, oppure avvolta da dolcezza infinita tra gli Spiriti Beati. I ballerini sono affiatati, si muovono con stesse ampiezze e passi sincroni contribuendo non poco alla bellezza dello spettacolo. Questa la danza delle furie eseguita alla Royal Opera House.

Infine, sempre nel segno dell’eleganza, le scene di Conor Murphy e il light design di Lee Curran: le luci sono incastonate in un triplice soffitto che si inclina, si divide e lascia fori minuscoli o grandi da cui la luce straripa con grande effetto drammatico. L’inclinazione del soffitto che si rivolge al pubblico è anche espediente che aiuta tanto l’acustica, rendendo ancora più cristalline e potenti le voci.

Da vedere questo Orphée et Eurydice. È un’opera emblematica nella storia della musica perché rappresenta la riforma epocale intorno all’opera settecentesca, cioè la ribellione contro una concezione di opera schiava dello strapotere di cantanti/divi, snaturata da arie troppo virtuosistiche, con incredibili e complicate trame. La versione del 1774 del librettista Moline mantiene gli originari atti e scene, ma tiene conto del gusto francese: ha una orchestrazione più ampia adatta al Palais-Royal, affida la parte di Orphée a un tenore anziché a un contralto, offre un notevole spazio per le danze.

Il mito di Orfeo è conosciutissimo. Perde la sua amata Euridice morsa da un serpente velenoso e, grazie all’aiuto di Amour sollecitato dagli dei, corre a riprendersela nell’Ade a patto di non voltarsi a guardarla. Euridice, femmina qual è, pressa lo sposo finché lui la guardi provocandone la morte. Euridice muore di nuovo, ma ancora una volta Amore rianimerà la sposa. Perdersi e ritrovarsi, una condizione umana senza tempo.

Ippolita Papale

@salottopapale

12/03/2018

Orphée et Eurydice di Christoph Willibald Gluck. Libretto nella versione di Pierre Louis Moline.

Direttore Michele Mariotti
Regia John Fulljames
Coreografia Hofesh Shechter
Scene e costumi Conor Murphy
Luci Lee Curran

Interpreti

  • Orphée: Juan Diego Flórez
  • Eurydice: Christiane Karg
  • L’Amour: Fatma Said
  • Hofesh Shechter Dance Company
  • Coro e Orchestra del Teatro alla Scala

Prima rappresentazione al Teatro alla Scala nella versione francese. Produzione Royal Opera House, Covent Garden, Londra.

www.teatroallascala.org

Foto: Juan Diego Flórez (Orphée), Christiane Karg (Eurydice),  Fatma Said (L’Amour), Orphée et Eurydice di Christoph Willibald Gluck, regia John Fulljames e Hofesh Shechter, Teatro alla Scala

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