L'intervista

Federico Fresi da Solista del Corpo di Ballo della Scala a Solista del Boston Ballet

Nato a Torino, formatosi in Spagna, Federico Fresi è nel Corpo di ballo scaligero dal 2008. Promosso lo scorso anno solista del Teatro alla Scala ora è procinto di volare negli States accogliendo l’invito del Boston Ballet. Nell’intervista racconta i suoi studi in Spagna, le prime esperienze di lavoro all’English National Ballet e in Spagna dove diventa primo ballerino e la scelta di tornare in Italia, alla Scala. Ma anche la sua passione per Michail Baryshnikov, per il gioco del calcio e il cinema, e la sua vita da ballerino.

Dopo Petra Conti, nominata Principal Dancer nel novembre del 2011 al Boston Ballet, un altro danzatore di estrazione scaligera, attualmente solista del Corpo di Ballo, si sta unendo al “felice” coro di coloro che hanno fatto la valigia per volare oltreoceano, complice un lungimirante permesso del maestro Makhar Vaziev: è Federico Fresi che ha ricevuto e accettato l’offerta di un contratto da First Soloist al Boston Ballet.

Fresi fa parte di una nuova generazione di ballerini italiani che hanno fatto carriera ottenendo successo all’estero, affermati professionisti che alle spiccate capacità tecniche uniscono qualità espressive e interpretative, danzatori che amano viaggiare, mossi dal desiderio di arricchire il proprio bagaglio artistico, ricercando preziosi stimoli, nuovi repertori e conoscenze.

La lista dei nostri danzatori uomini che ricoprono ruoli importanti nelle principali compagnie del mondo è lunga e comprende étoile come Alessio Carbone, Federico Bonelli, Alessandro Riga e Vito Mazzeo,  ma anche tantissimi giovani come Vito Pansini, Cristiano Principato, Carlo Di Lanno, Marco Arena, Francesco Costa, Davide Dato e Jacopo Tissi che dopo una positiva esperienza a Vienna rientrerà in Scala. Danzatori che hanno esportato il proprio talento nelle grandi compagnie europee e internazionali, come in passato fu per gli antesignani di questi nobili scambi esperienziali, da Carla Fracci a Anna Razzi, Luciana Savignano, Paolo Bortoluzzi, Alessandra Ferri, Giuseppe Picone e tanti altri. Questa felice abitudine, intrapresa nuovamente con slancio dagli scaligeri, ha portato oggi Federico Fresi ad accettare l’incarico, negli Stati Uniti d’America.

Federico, raccontaci i tuoi inizi e il tuo approccio con la danza?

Ho iniziato a ballare all’età di 13 anni, a Minorca (Spagna) nella scuola di danza di mia madre. All’inizio è nato tutto per gioco, in realtà volevo giocare a calcio, facevo danza giusto per provare qualcosa di nuovo. Ballavo più hip hop, moderno, sulle musiche di Michael Jackson. Poi ho iniziato a studiare anche classico, che mi piacque così tanto che mi dedicai a tempo pieno. Dopo un anno mi sono presentato a un concorso di danza in Spagna, in giuria c’era Maria de Avila, grande maestra spagnola che ha tirato fuori dalla sua scuola grandissimi talenti della danza come Trinidad Sevillano e Victor Ullate, che dopo avermi visto eseguire una variazione, rimase talmente colpita, anche se la mia tecnica era abbastanza grezza e approssimativa, che decise di offrirmi una borsa di studio nella sua scuola a Saragozza.

Torinese di nascita ma con un passato in Spagna. Ti formi presso la Scuola di danza di Maria de Avila. Quali ricordi conservi di quel periodo?

Ho dei bellissimi ricordi di quegli anni, forse i più belli. Era tutto una novità per me, iniziavo sul serio a dedicarmi alla danza, anima e corpo letteralmente. Facevo lezione dalle dieci del mattino alle sei di sera tutti i giorni, non ero mai stanco e volevo imparare sempre di più. Ero come una spugna, assorbivo immediatamente ogni correzione, pregi e difetti dei miei compagni. Da non saper fare praticamente niente, alla fine dell’anno ero riuscito a raggiungere il livello avanzato. E poi i saggi di fine anno. Quell’unico spettacolo all’anno dove finalmente venivamo ricompensati andando in scena dopo le ore e ore di allenamento. Sono stati degli anni stupendi.

Com’è stato il distacco dalla famiglia e dall’Italia?

In realtà il distacco con la famiglia non c’è mai stato. Mi sono trasferito in Spagna, da Torino che è la mia città di nascita, a 10 anni per motivi legati al lavoro dei miei genitori. Ovviamente cambiare paese, lasciare gli amici, è stato un passo non facilissimo, ma a quell’età è sicuramente molto più facile. E comunque sono stato molto bene accolto da tutti i miei compagni di scuola spagnoli. Poi dopo qualche anno ho cambiato varie volte città, e quando stavo per iniziare i miei studi di danza a Saragozza, i miei genitori, per non lasciarmi da solo in una città nuova, mi hanno seguito senza problemi. Ho sempre avuto accanto la mia famiglia in ogni momento, e di quello li ringrazio tantissimo.

In seguito hai fatto parte dell’English National Ballet e della Compañia de Ballet Clásico Arte 369 ricevendo la nomina a Primo Ballerino. Cosa ti ha arricchito maggiormente di queste esperienze all’estero e quali sono, a tuo avviso, le differenze con il pubblico e i teatri di danza italiani?

I sei mesi trascorsi all’English National Ballet sono stati molto speciali. È stato il mio primo lavoro a livello professionale e lì ho imparato come si lavora in una grande compagnia, dove nessuno ti regala niente e devi meritarti l’andare in scena. È stata una bellissima esperienza. Poi adoro Londra, una delle mie città preferite. Dopo sono ritornato a Madrid e sono stato scritturato come solista, nella compagnia dell’ex ballerina spagnola Maria Gimenez, Arte 369, allora unica compagnia pura di danza classica in Spagna e che ora si è purtroppo disciolta. Lì mi sono divertito tantissimo, ho iniziato a interpretare i primi ruoli, e poi il momento stupendo della nomina a primo ballerino. Mi sono arricchito di maturità scenica e della consapevolezza che essendo primo ballerino, ogni volta che andavo in scena avevo la responsabilità di rappresentare la Compagnia. Non facile a soli 21 anni. Ma il pubblico spagnolo è stupendo. Non dà mai peso se sbagli, e nei momenti di virtuosismo riservano ovazioni come se fossi allo stadio. Forse è questa la differenza maggiore tra il nostro pubblico e quello straniero: quello italiano prende il balletto con un po’ troppo rispetto, che non è affatto un difetto, ma a volte noi ballerini avremmo bisogno di più spinta e incitamento durante gli spettacoli. Ovvio che un balletto non è una partita di calcio e non si può iniziare ad urlare, soprattutto alla Scala che è il tempio dell’Opera in Italia e nel mondo, perché come la Scala ci sono pochissimi teatri nel mondo che gli tengano testa, ma a volte un po’ più di “sangre” come si dice in Spagna non farebbe male. Non me ne vogliano i miei amici loggionisti scaligeri che sono stupendi!

Com’è avvenuto l’ingresso nel Corpo di Ballo della Scala? Tramite audizione o su invito?

Dopo un paio di anni nella compagnia Arte 369 avevo deciso che era il momento di cambiare, puntare veramente in alto e provare a vedere se ero in grado di entrare in una delle compagnie più prestigiose e migliori del mondo. Mi sono presentato all’audizione annuale che fa il Teatro alla Scala, l’ho passata con ottimi risultati e dopo un paio di settimane ho ricevuto una chiamata da Milano per sapere se volevo entrare a far parte del Corpo di Ballo scaligero con effetto immediato. Non ci pensai due volte. Feci i bagagli e ritornai in Italia dopo 11 anni di assenza.

Vuoi raccontarci il giorno della tua nomina a Solista del Corpo di Ballo della Scala?

È stato l’anno scorso. C’è stato un concorso internazionale per ricoprire un posto da Solista all’interno del Teatro. Consisteva nel fare una lezione e una variazione a scelta, decisi di ballare la variazione del terzo atto di Basilio di Don Chisciotte, non solo perché è la mia variazione preferita in assoluto, ma anche perché è stata la variazione che presentai quando decisi di fare l’audizione per entrare alla Scala. È stato un gesto un po’ scaramantico ma direi che ha funzionato piuttosto bene. Dopo una settimana dal concorso ricevetti una lettera dalla direzione che diceva che avevo vinto il concorso. Fu il momento più bello e soddisfacente della mia carriera di ballerino. Lo desideravo da tanto tempo, e anche se ero già stato solista e poi primo ballerino altrove, diventare solista del Teatro alla Scala è qualcosa di unico, è coronare anni di sacrifici e di duro lavoro.

Quali tuoi maestri vuoi ricordare con maggiore gratitudine e per quale motivo?

Durante tutti questi anni ho avuto decine di maestri, ognuno di loro ha saputo tirarmi fuori tante sfumature, e ognuno di loro mi ha regalato tutto il sapere ed esperienza che portavano nei loro anni di carriera. Ma se dovessi citarne uno sicuramente direi Lola de Avila, la mia prima maestra, figlia di Maria de Avila. Se Maria aveva visto in me un diamante allo stato grezzo, Lola ha saputo tirare fuori il meglio che avevo. In tre anni ha trasformato un ragazzino che non sapeva fare niente di danza in un ballerino pronto tecnicamente e mentalmente a lavorare in grandi compagnie. È grazie a lei se oggi so fare quello che sanno tutti. E’ vero che durante gli anni mi sono perfezionato, ma la sua impronta è unica e indelebile. Per questo le sarò eternamente grato, e spero di rivederla presto un giorno per dirglielo personalmente.

Tra i tanti spettacoli di danza ai quali hai assistito come spettatore quali ti hanno colpito emotivamente?

Sicuramente lo spettacolo di Michail Baryshnikov e della sua compagnia di danza, la White Oak Dance Project, nel 2001 a Saragozza. Ricordo ancora l’emozione che provai quando vidi il mio mito e idolo, quando si aprì il sipario e lui era lì in scena, e quella dopo lo spettacolo quando timidamente gli chiesi un autografo. Ero cresciuto guardando tutti i suoi video, consumandoli per cercare di imparare a fare i suoi salti, e all’improvviso era lì davanti ai miei occhi. È stato un momento magico.

Nel tuo repertorio, il ruolo che hai interpretato che hai particolarmente amato?

Credo che quello che ho amato di più sia stato il Figliol Prodigo di Balanchine. L’avevo visto per la prima volta in un video interpretato ovviamente da Baryshnikov, e me ne innamorai subito. La preparazione per quel ruolo fu lunga e meticolosa. E quando finalmente andai in scena mi godetti ogni singolo passo. Al livello emotivo è il ruolo che mi ha trasportato di più, più di Albrecht. Per questo sarò sempre grato al maestro Makhar Vaziev che mi ha dato l’opportunità di ballare uno dei miei ruoli preferiti.

La danza è fatta anche di sacrifici. Qual è il più grande che tu hai fatto in nome della tua passione tersicorea?

Sicuramente la danza è piena di sacrifici, e come in tutte le cose se ti vuoi dedicare completamente devi rinunciare a qualcosa. Per fortuna non ho dovuto rinunciare alla mia famiglia, che mi è stata sempre vicino. Forse in quanto a sacrificio penso alla mia adolescenza, non ho avuto molta vita sociale al di fuori della sala di danza. Avendo iniziato tardi non mi potevo permettere distrazioni se volevo raggiungere il livello dei miei compagni, e quindi magari la sera e nei weekend preferivo stare a casa e riposare per affrontare con energia il giorno successivo piuttosto che uscire con i miei amici o andare a ballare in discoteca. Ma non mi è mai pesato più di tanto. Poi una volta entrato in compagnia e raggiunto i miei obiettivi ho recuperato tanto tempo perso. Quindi alla fine non li ho mai ritenuti enormi sacrifici.

Qual è il tuo sogno nel cassetto, riferito alla danza?

Ricordo che sin da quando avevo 5 anni volevo andare a vivere in America, e poi una volta iniziato a far danza ho sempre desiderato di entrar a far parte in una delle grandi compagnie che ci sono lì. Ora il sogno si sta avverando.

Quali passioni coltivi oltre al balletto?

Sono un grande appassionato di sport in generale, ma soprattutto di calcio. Quando il tempo libero me lo permette non perdo occasione per andare a San Siro a vedere l’Inter. È una passione che ho da bambino. Ho anche giocato a calcio a Torino e in Spagna, ma purtroppo non ero così bravo da diventare un professionista, ma se capita una partitella con i miei colleghi la faccio volentieri. Amo anche il cinema, ho una ricca collezione di film a casa e vado al cinema molto spesso. Se durante il weekend non ci sono partite sono capace di passarlo a guardare film in continuazione.

Finora cosa ti ha regalato l’essere un danzatore professionista?

Essere un ballerino professionista per me è il massimo. Fare quello che più ti piace come mestiere non è una cosa che tutti possono permettersi purtroppo. Avere il palcoscenico della Scala sempre a disposizione, girare il mondo e ballare nei migliori teatri, sono alcune delle cose che questo mestiere ti regala e mi sento molto fortunato e privilegiato ad averle.

Quante ore provi? Com’è la tua giornata tipo?

Sveglia alle 8, colazione, e poi in Teatro. La lezione inizia alle 10 e dura fino alle 11.15. Poi dalle 11.25 fino alle 17.30 siamo in sala a provare i vari balletti, con 45 minuti di pausa pranzo alle 13.40 tutti i giorni tranne la domenica o lunedì, dipende dal periodo dell’anno. A volte mi capita anche di uscire dal Teatro verso le 19/20, perché rimango a provare qualche ruolo per conto mio per perfezionarlo, o per fare un po’ di palestra o semplicemente per godermi un meritato massaggio dopo le ore di prova.

Quale tournée con il Corpo di ballo scaligero ricordi con più piacere e perché?

Sicuramente quella del 2008 con Don Chisciotte in Messico perché è stata la prima tournée con la compagnia ed è stata anche la prima volta che facevo un viaggio intercontinentale. Ero molto eccitato ed emozionato. Invece quella che mi è piaciuta di più penso sia stata quella del 2013 con Romeo e Giulietta a Tokyo. Desideravo da tanto tempo visitare il Giappone ed è stata un’esperienza stupenda, sia a livello personale che a livello lavorativo.

Sei scaramantico prima di entrare in scena?

Solo quando devo ballare qualcosa di importante, ho una serie di “riti” che faccio assolutamente. Anche se a volte è capitato me ne dimenticassi, ma per fortuna non ha interferito con la mia prestazione in scena.

Quali sono stati i tuoi coreografi preferiti con i quali hai lavorato e quale partner in scena ti ha appagato artisticamente a livello totale?

Ho lavorato con tantissimi coreografi in questi anni, dai nostri bravissimi coreografi interni a quelli di fama internazionale. Ma le migliori esperienze sono state sicuramente con William Forsythe quando facemmo nel 2009 un suo trittico e con Alexei Ratmansky con cui ho lavorato diverse volte negli ultimi anni. Per me sono assolutamente i migliori nel loro campo, dei veri e propri geni. Una fortuna aver lavorato con loro.

Secondo te, quali sono le qualità che un giovane danzatore dovrebbe possedere per diventare degno di questo nome?

Come prima cosa, direi essenziale, la testa. Ho visto un sacco di ottimi elementi non riuscire a fare il salto di qualità perché troppo distratti o perché troppo facilitati dal loro potenziale fisico quindi prendevano un po’ tutto alla leggera. Un vero peccato. Poi sicuramente tanta voglia di imparare, mai averne abbastanza. Rispetto per gli altri e per se stessi. Anche carattere e personalità non vanno trascurate. Ce ne sarebbero tante altre, me per me queste sono essenziali se vuoi andare avanti in questo difficile percorso.

Segui una dieta particolare nella tua alimentazione?

Di solito no, mangio quello di cui ho voglia al momento, poi con tutte le ore di danza che faccio brucio tante calorie. Ovvio che non potrei andare avanti a dolciumi e fast-food tutti i giorni, dopo un paio di settimane non entrerei più nei corpetti.

Raccontaci di questo nuovo futuro “americano” che si sta per aprire nella tua vita artistica?

Il mio futuro sarà negli USA. Recentemente mi hanno offerto un contratto da First Soloist al Boston Ballet. Ho deciso di accettarlo. Non solo perché come ho detto prima è il mio sogno da quando ero piccolo andare negli States, ma anche per arricchirmi a livello artistico e personale di nuove sfide ed esperienze. È un mondo completamente diverso dal nostro e non vedo l’ora di conoscerlo.

Per tutti i nostri lettori, un tuo pensiero sulla danza?

Per me la danza è tutto, mi ha regalato molte emozioni ed esperienze di vita. Non mi vedrei fare nient’altro se non questo e non cambierei la mia vita per niente al mondo. Vorrei finire citando quello che disse un mito come Rudolf Nureyev che penso rispecchi molto il mio modo di vedere la danza: La danza è tutta la mia vita. Esiste in me una predestinazione, uno spirito che non tutti hanno. Devo portare fino in fondo questo destino: intrapresa questa via non si può tornare indietro. È la mia condanna, forse, ma anche la mia felicità. Se mi chiedessero quando smetterò di danzare risponderei quando finirò di vivere.

Michele Olivieri

18/05/2015

 

Nelle foto Federico Fresi in diversi ruoli al Teatro alla Scala, ph Marco Brescia Teatro alla Scala

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