La recensione

Godspeed You! Black Emperor e The Holy Body Tattoo a REf17 per monumental: rock e danza indagano la cultura urbana

In una impressionante fusione di rock e danza monumental è stato presentato all’Auditorium della Conciliazione il 13-14 ottobre per Romaeuropa festival. Lo spettacolo canadese della compagnia The Holy Body Tattoo con musica dal vivo dei Godspeed You! Black Emperor nasce all’esigenza di indagare sulla cultura urbana, sull’uomo e sulla sua relazione con l’altro.

Lo scorso 13 e 14 ottobre 2017 Romaeuropa festival ha offerto al suo pubblico l’opportunità di uno spettacolo che ha riunito grande musica e danza: monumental  (rigorosamente scritto con la m minuscola) ha superbamente fuso l’ambizioso lavoro coreografico di The Holy Body Tattoo con i brani live di Godspeed You! Black Emperor. Grande occasione quindi anche per i fan della band canadese che hanno avuto la possibilità di incontrare uno dei gruppi più rappresentativi della scena post-rock internazionale. L’appuntamento romano è servito, inoltre, a lanciare il prossimo tour europeo della band e basato sull’ultimo suo album, Luciferian Towers uscito il 18 settembre 2017.

The Holy Body Tattoo, compagnia fondata nel 1993 da Dana Gingras e Noam Gagnon, presentò monumental per la prima volta nel 2005 in Canada e poi a Los Angeles. La versione originale dello spettacolo però, pur producendo un fortissimo impatto sul pubblico, era basata su musiche dei GY!BE registrate in quanto il gruppo risultava a quei tempi non attivo; già nel 2003 infatti la band aveva annunciato una pausa dalle scene fino a tempi indefiniti. La stessa compagnia di danza poi si era sciolta nel 2007; per cui, la riunione dei GY!BE nel 2010 si configurò come segno del destino a suggerire una nuova edizione di monumental rappresentata ora con musiche dal vivo. Ci sono voluti così quasi cinque anni di duro lavoro per concretizzare questa collaborazione che riprende brani dei GY!BE già utilizzati in passato mescolati a nuove musiche, alcune dell’ultimo album, fino alla composizione di sezioni percussive inedite, perché non registrate dagli artisti, fruibili quindi esclusivamente durante lo spettacolo. Nella preparazione della nuova edizione di monumental, i musicisti hanno condiviso gli spazi delle prove dei danzatori, infondendo nuovi stimoli ed energie alla composizione coreografica, con riadattamenti sui suoi ritmi, durate e transizioni. Ne è risultata una contaminazione sinergica e dinamica tra le combinazioni date dalla musica e la danza; un mix esplosivo che ha riportato sul palcoscenico atmosfere potenti, deflagranti e allo stesso tempo struggenti. Con il senso di un’urgenza continua; questa la suggestione portante dello show.

monumental è lo spettacolo che nasce all’esigenza di indagare sulla cultura urbana, sull’uomo e sulla sua relazione con l’altro. “Andate nella città e osservate le persone per strada, quelle che sono al lavoro, quelle che si incontrano nei bar. Quali sono le abitudini, i comportamenti, i gesti e i rituali ossessivi”. Questa la “consegna” di Dana Gingras ai suoi ballerini nell’approfondimento del lavoro drammaturgico di quest’opera in cui essi stessi rappresentano monumenti a cui è stata tolta l’imponenza. Sono uomini e donne del nostro tempo a cui è chiesto di districarsi dalle convulsioni del “capitalismo digitale”, surfando tra proprie aspirazioni individuali, tentativi di realizzazione, squilibri, dipendenze, conflitti dati dall’inevitabile confronto con l’altro da se’.

Originariamente ispirato a Men in the Cities di Robert Longo (opera emblema degli anni ’80 composta da una serie di disegni rappresentanti figure umane con posture contorte), monumental presenta per settantacinque minuti istantanee raffiguranti l’agitarsi quotidiano dentro la vita competitiva della city. Monumentale è perciò l’alienazione che si esprime nelle piccole cose del proprio mondo alterato e che è visibile tramite movimenti degenerati, snaturati, composti da tic che ridicolizzano il potere e lo riducono in parti infinitesimali. Da qui il voler mantenere un titolo minuscolo: monumental traduce il paradosso di una grandezza semanticamente vuota.

In scena nove danzatori in abiti da ufficio isolati su altrettanti piedistalli; sono ansiosi discoboli in black and white che moltiplicano i propri gesti con movimenti parossistici, esacerbando manie e tic. I musicisti sono disposti in uno spazio separato sopra i danzatori: cinque chitarre, due drum kit e un violino. In rapide sequenze sostenute dall’implosione delle musiche dei GY!BE, che avvicendano livelli esasperati a elegie quasi solenni, i danzatori soffrono la loro condizione di isolamento ma dalla stessa vengono sorretti: in una personalissima sindrome di Stoccolma compaiono ugualmente come prigionieri e devoti al loro piedistallo. Un piedistallo che coincide con il micro-cosmo caotico delle proprie convinzioni: difficile scendere da esso per iniziare a dialogare con l’altro perché ognuno è sostenuto solo dal proprio mondo. Sullo sfondo del palcoscenico vengono proiettate le parole epigrafiche della serie Living dell’artista neo-concettuale americana Jenny Holzer; sono sentenze che analizzano la quotidianità dell’essere umano e che risuonano come verdetti fatali, alternandosi alle immagini ipnotiche e accelerate di William Morrison, stralci del downtown di Los Angeles.

Con movimenti nevrotici i ballerini vengono illuminati dai disordini compulsivi della propria psiche, esplicitando segreti ora crudelmente esposti; dal proprio recinto di incertezze sono costretti a non toccarsi ma sarà solo il contatto salvifico con il proprio vicino a introdurre un possibile nuovo modus vivendi. Finalmente abbassati ad altezze naturali, sganciati dai cubi in cui erano obbligati, adesso i ballerini compongono movimenti meno strutturati, creano disordine e fluidità, giocano, litigano, si esprimono finalmente come un gruppo, cercano complicità. Ma è un gruppo ancora immaturo, per cui l’aggressività delle paranoie passate torna a esplodere come bombe e solo la ricerca di capri espiatori di sfogo potrà ricondurre a sicurezze effimere. Nelle scene finali dello spettacolo si assiste quasi a un passaggio di consegne delle proprie nevrosi al pubblico; i performer, diventati adesso beffardi, sono allineati sul proscenio cercando il contatto visivo degli spettatori. E quei gesti malati diventano ora patrimonio comune, in una solidarietà condivisa che trasforma il grottesco in accettabile.

THE HEART CAN STOP WHEN YOU HEAR SOMETHING NOT MEANT FOR YOUR EARS. THE CONSOLATION IS THAT THIS MIGHT BE THE TRUTH. Jenny Holzer

(“Il cuore può fermarsi quando sentiamo qualcosa che non si addice alle nostre orecchie. La consolazione è che potrebbe essere vero”. Jenny Holzer. Traduzione a cura di Valentina Rapetti).

Giannarita Martino

Twitter @giannarita

22/10/2017

Foto: The Holy Body Tattoo e Godspeed You! Black Emperor, in monumental, ph. Yannick Grandmont.

Scrivi il tuo commento

2 Commenti

  1. AngelaSterlacci

    “The most profound things are inexpressible.”
    Inesprimibile. 6 sillabe inumane che fanno tremare chiunque immagini soltanto di avvalersene.
    Insomma, mi sono permessa di prendere in prestito uno dei postulati di Jenny Holzer, fra gli indiscussi protagonisti del 14 ottobre, per descrivere il mio stato d’animo postumo allo spettacolo. In realtà ho cercato di utilizzare molte altre parole dal significato meno vago prima di proporre quest’ultima. Disorientata ma stupida, estasiata ma profondamente allibita. Ho provato davvero tante combinazioni, ma alla fine mi sono arresa all’inesprimibile, come massima espressione di un’anima parallela altrimenti irraggiungibile che ho inaspettatamente trascinato in me stessa.
    La prima versione di monumental risale al 2005, data in cui il gruppo dei Godspeed era sciolto. Difatti erano state usate le traccie del primo album, registrate, assieme a composizioni di altri interpreti. Riesumando il progetto nel 2010, la coreografa realizzò un sogno: coniugare la musica dei Godspeed, oramai riuniti, con la personale composizione coreografica. Ella pertanto ammette che il gruppo si è dimostrato enormemente magnanimo nei loro confronti, concedendo la possibilità di utilizzare qualsiasi brano del loro repertorio e apportando anche diverse modifiche per far si che la danza si sposasse perfettamente con i toni e viceversa.
    Ma quali sono state le difficoltà nel dover allestire un’opera nella quale i danzatori recitano in ogni momento vincolati da piedistalli, assumendo un ineguagliabile senso di monumentalità irripetibile con l’utilizzo di altri espedienti?
    Sara Williams, danzatrice del pezzo dalla sua prima versione del 2005 e ora responsabile della direzione delle prove, ammette ironicamente: “è stato facile!”. In realtà il contesto coreografico è molto limitante per i danzatori: dover occupare per quasi 75 minuti quei pochi centimetri di spazio é stata una colossale sfida sia dal punto di vista fisico che mentale. Molto spesso i 9 danzatori della The Holy Body Tattoo, nell’interpretare questa composizione, non dovevano sforzarsi a dover rappresentare le risposte emotive e i temi sensibili del pezzo, quali instabilità, disequilibrio, frammentazione, insicurezza, malessere, perché venivano fuori semplicemente cercando dai movimenti sul piedistallo in sé per sé. Insieme alle movenze frammentate, all’accelerazione, ai ritmi incalzanti della musica, ai canoni, alle differenze di livello e al loop, lo spettatore, come il danzatore, vive un sovraccarico sensoriale come già menzionato più volte, INESPRIMIBILE.
    Per i movimenti hanno fatto riferimento a Men in the city di Robert Longo. Sfogliando tale catalogo hanno costruito il vocabolario di movenze che ha costituito la base della struttura coreografica.
    La composizione ha dato come occupazione ai danzatori quello di andare fuori dagli uffici e osservare le trame sociali dei dipendenti prima e dopo una giornata lavorativa, dall’inverosimile tristezza alle luci dell’alba alla goliardica euforia serale consumata nei locali dei dintorni.
    Con i musicisti, invece il lavoro è partito da una sequenza ritmica banale ma incisiva, strettamente correlata ai passi di danza, per poi passare alla sinfonia per intera, in modo tale da passare dalla freddezza all’esplosione in maniera quasi simultanea.
    La coreografa ha lavorato molto sull’improvvisazione per estrapolare la combinazione perfetta al pezzo, con una precisione ed un lavoro teorico maniacale: un movimento corrisponde ad un’unica nota musicale, ad una stretta dinamica. I danzatori fanno riferimento ad una ferrea struttura compositiva, con delle tempistiche ben definite e praticamente irremovibili.
    Quindi dietro a “monumental” vi è una complessa analisi preparatoria per ottenere anche quei maniacali pezzi di simultaneità e unisono tra i danzatori, che coinvolgono oltre al linguaggio del corpo anche la loro voce e il loro respiro, parte integrante anch’esso dell’Uno rappresentativo.
    Ma nonostante un ostentare la collettività fino al disarmante, nella coreografia ci sono inoltre pochi attimi di rottura, in cui si dà spazio al singolo individuo, trasmettendo al pubblico un tema grottesco e apparentemente di frattura col resto della composizione, al fine di esacerbare il ruolo dell’unità nel totale, la quale nel tentativo di estraniarsi in maniera canonica appare buffa e impersonale.
    Cercherò di tenermela ben salda, quello straccio di anima che monumental mi ha regalato. Come un ricordo lontano che non sfumerà mai del tutto.

    Angela Sterlacci
    Danzaeffebi meets #REf17

    Ott 22, 2017 @ 13:11:29

  2. mariamarangolo

    Masterclass con Dana Gingras

    In occasione dello storico spettacolo monumental di The Holy Body Tatto al REf17 con musiche live di Godspeed You!, Dana Gingras ha tenuto una Masterclass presso la Dance Art Faculty di Roma ad una ventina di giovani danzatrici.
    La Gingras, coreografa, danzatrice e performer che insieme a Noam Gagnon ha fondato la compagnia The Holy Body Tattoo, ha proposto un percorso di 2 ore alla riscoperta dell’elemento basilare della struttura del danzatore: la colonna vertebrale.
    Il suo approccio parte dall’assunto che si è animali vertebrati, prima che danzatori, e mira a condurre il ballerino fuori dalla routine dell’allenamento.
    Lo fa costruendo una dinamica corporea che è un flusso continuo di cadute e risalite.
    È necessario scoprire un “sense and pleasure of falling”, cioè la dimestichezza del corpo con il suolo.
    Dana spiega che la consapevolezza della propria spina dorsale si ottiene sperimentando la gravità, e ricorre ad alcune suggestioni immaginifiche. La più intensa: far sì che il corpo, formato in gran parte d’acqua, crei dei vortici al suo interno, attraverso il movimento ondulatorio che si ottiene sperimentando tutte le possibili curvature della propria spina dorsale.
    Il pavimento, consiglia la coreografa, deve diventare nostro partner, deve essere una presenza con cui dialogare e collaborare.
    Nel percorso di progressiva conoscenza della colonna, ci si accorge che il movimento delle gambe, il loro slancio e la loro tenuta, hanno origine dalla zona corrispondente allo sterno.
    Il senso del peso e della leggerezza sono le coordinate spaziali che sostituiscono i 4 punti cardinali. Col progredire della lezione, si deve familiarizzare con il proprio peso attraverso una sequenza di movimenti senza soluzione di continuità. La spina dorsale dà l’impulso al resto del corpo, e la sequenza, ripetuta come un mantra, consente di focalizzarsi, guidati dalla voce della Gingras, sulla sensazione delle ossa sotto la pelle, sul battito cardiaco che aumenta insieme alla respirazione, sulla visualizzazione di braccia e gambe come piccoli ruscelli periferici del percorso sanguigno.
    Infine, ciascun ballerino è chiamato a inventare e memorizzare una serie di movimenti, dapprima sul pavimento e poi nello spazio, ognuno dei quali viene associato ad un numero da 1 a 6.
    Dana pronuncia i numeri, prima in sequenza e poi in ordine sparso, e i danzatori, in sincrono, eseguono l’esercizio.
    Il gruppo disordinato si muove armonicamente, ciascun ballerino esegue il proprio movimento, con precisione nel ritmo e rispetto delle pause tra uno step e l’altro.
    La ripetizione sincopata produce una scansione, nella successione sempre più rapida tra numeri, che dona scioltezza alle figure.
    “Spine, tail, weight, gravity, ungravity”: le parole preferite di Dana Gingras sono al tempo stesso concetti e pratiche da sperimentare subito.

    Maria Marangolo
    Danzaeffebi meets #REf17

    Ott 25, 2017 @ 00:32:17

design THE CLOCKSMITHS . development DEHLIC . cookie policy