L'intervista

Intervista a Giovanni Napoli, danzatore e coreografo, ospite del Festival Internacional de Ballet in Colombia

Nuovo traguardo professionale per uno dei nostri talenti italiani all’estero. Giovanni Napoli, danzatore e coreografo, oggi impegnato in Germania presso lo Staatstheater Augsburg, è stato invitato come unico artista in rappresentanza dell’Italia al Festival Inernacional de Ballet de Cali, in Colombia: per l’occasione, il 4 settembre sono state trasmesse in streaming tre delle sue creazioni. In questa intervista, ci parla della soddisfazione per questo traguardo internazionale, ma anche del suo presente lavorativo in Germania, dei progetti realizzati durante il lockdown, dei programmi imminenti e degli obiettivi futuri.

In questo periodo di sospensione che ha improvvisamente congelato i progetti di numerose compagnie di danza, giunge come una piacevole sorpresa la notizia di un nuovo traguardo professionale raggiunto da uno dei nostri talenti italiani nel mondo: parliamo di Giovanni Napoli, danzatore e coreografo, attualmente impegnato in Germania al Ballett des Staatstheater Augsburg sotto la direzione di Ricardo Fernando. È di poche settimane fa l’annuncio della sua partecipazione al Festival Internacional de Ballet di Cali, in Colombia, come unico artista ospite in rappresentanza dell’Italia su invito della fondatrice e direttrice artistica Gloria Castro Martínez. Giunto alla 12° edizione e inaugurato lo scorso 30 agosto 2020, il Festival si è tenuto quest’anno in streaming a causa dell’emergenza sanitaria mondiale: e se da un lato la complicata contingenza ha privato il pubblico della magia dello spettacolo dal vivo, dall’altro ha permesso agli spettatori di tutto il mondo di assistere in forma virtuale alla ricca programmazione 2020 che ha visto tra gli ospiti grandi formazioni internazionali come il Ballet Nacional de Cuba, il Ballet Nacional de Perù, Bohemia Ballet, Sao Paulo Compañía de Danza, Ballet Nacional Sodre. L’appuntamento con Giovanni Napoli al FINBA è stato lo scorso 4 settembre 2020 con la trasmissione di ben tre delle sue creazioni: Embracing, About Relations e Ne mai sí dolci baci .

Palermitano, poco più che trentenne, Giovanni Napoli ha una lunga esperienza professionale alle spalle: in Italia è stato tra gli interpreti del Balletto di Toscana Junior, sotto la direzione di Cristina Bozzolini, e per oltre nove anni della MMContemporary Dance Company, dove si è distinto per abilità tecnica ed espressiva danzando nelle creazioni di Michele Merola, Mats Ek, Enrico Morelli, Karl Alfred Schreiner, Eugenio Scigliano, Emanuele Soavi, Gustavo Ramirez Sansano. Negli stessi anni si è esibito in numerosi teatri, in Europa e nel mondo (Corea, Colombia, Canada e Marocco), per poi spostarsi in Germania, nel 2013, per danzare nell’ensemble Kreuzgangspiele Feuchtwangen e nella compagnia INCompany diretta da Emanuele Soavi.

Dal settembre 2019 lavora per lo Staatstheater Augsburg, interprete delle coreografie di Mauro Bigonzetti, Ricardo Fernando e Guillaume Hulot. Da sempre, alla carriera di danzatore, affianca una promettente attività di coreografo: diverse le sue creazioni già selezionate da reti internazionali e commissionate da compagnie italiane come, tra le altre, Profumo e Fo(u)r Seas/on per Agora Coaching Project, You deserve a lover, selezionato per la Vetrina Giovane Danza d’autore – Anticorpi XL, Human Race, commissionata dal DAP Festival di Pietrasanta, e una creazione “in corso d’opera”, dal titolo Papers, per Delattre Dance Company (Germania).

È lo stesso Giovanni Napoli a raccontarci del suo presente lavorativo: tra la soddisfazione per il recente invito e i progetti imminenti, ci svela qui le speranze e gli obiettivi per il prossimo futuro.

Partiamo subito dell’invito al Festival Internacional de Ballet di Cali, in Colombia. Quando e come ha accolto la notizia e cosa rappresenta per lei questo prestigioso traguardo internazionale?
«Ricordo bene il giorno in cui ho ricevuto questo invito: in una delle infinite e surreali giornate di lockdown ho ricevuto una e-mail da Gloria Castro, direttrice artistica del Festival di Cali, figura di spicco sulla scena colombiana e internazionale della danza, oltre che cara amica. Nel messaggio mi raccontava della sua idea di organizzare il festival in streaming: in quel momento è stato come ricevere la notizia giusta al momento giusto riaccendendo una speranza di prospettive future nonostante tutto sembrasse fermo. Oggi che siamo tornati alla (quasi) normalità, la partecipazione al festival si conferma per me un grande traguardo a livello internazionale e un bel riconoscimento personale, nonché un’ulteriore conferma dell’apprezzamento della direttrice con la quale è nato da subito un rapporto di reciproca stima».

Ci parli delle tre coreografie di sua creazione trasmesse in streaming al Festival di Cali 2020.
«La prima si intitola Embracing ed è un lavoro del 2018 creato per Showcase – Young Choreographer di Torino: è stato rappresentato al Festival Internacional de danza de la Ciudad de Mexico City e selezionato per la 31° Choreographic Competition di Hannover oltre che per X choreographic competition di Copenaghen. Come si intuisce dal titolo, il tema centrale è quello dell’abbraccio, strumento emotivo potente (oggi più che mai) che consola, include, avvicina, consolida i rapporti; può essere materno, amichevole o passionale. I profumi esplodono e il corpo diventa leggero, mentre un pensiero si fa strada lungo la schiena e arriva alla mente: la felicità. Ad interpretare il brano sulle note di Eyes Shut – Nocturne in C Minor è Cosmo Sancilio, solista presso il Ballett des Staatstheater Augsburg, collega e assistente alle mie creazioni, ma soprattutto eccezionale danzatore».

«La seconda creazione è About Relations, su musica di Max Richter, nata per DSC Dance Company Faenza di Luna Ronchi e selezionato per la 30° Choreographic Competition di Hannover, con gli interpreti Chiara Amato, Alima Grasso, Chiara Rontini, Martina Rizzitelli, Martina Sartoni, Cosmo Sancilio, Brian Scalini. “Nessun uomo è un’isola”, ha scritto John Donne, e noi siamo ciò che siamo perché al centro di una rete fatta di relazioni. Oggi la felicità non c’è, al suo posto c’è incertezza e indifferenza: è il tempo della vita sociale e della crisi personale; nasce da qui una riflessione sul “desiderio di comunità” e sulle conseguenze della “globalizzazione”.
Infine, Ne mai sí dolci baci, produzione della Fondazione Egri per la Danza, che si sofferma sul sentimento dell’amore e sulle sue infinite sfaccettature: decidere di relazionarsi con qualcuno impone un’intima e forse spietata relazione con noi stessi, ed è proprio in questa relazione che inizia il nostro percorso».

Quali ulteriori opportunità riserva questa partecipazione al Festival per il suo futuro?
«Chiaramente le aspettative sono grandi: il festival è stato fortemente voluto dalla direzione artistica per questo 2020, anche se in streaming, proprio in prospettiva di una più ampia edizione 2021; senza poter annunciare ancora nulla con certezza, posso anticipare che la mia partecipazione di quest’anno segna un bel punto di partenza e un possibile trampolino di lancio per prossime occasioni e collaborazioni lavorative».

Lei è un coreografo apprezzato in Italia e all’estero. E è tuttora interprete in un’importante compagnia in Germania. Che stagione la aspetta allo Staatstheater Augsburg?
«In teatro ad Augsburg mi aspetta una stagione ricca di impegni. In seguito al lockdown noi, come tanti altri, a causa della chiusura dei teatri, siamo stati costretti a cancellare l’intera stagione e cercheremo di recuperarla interamente il prossimo anno. La stagione in corso prevede, da qui a maggio 2021, coreografie di Johan Inger, Patrick Delacroix, Mauro Astolfi, Alexander Ekman, oltre alla nuova produzione a serata intera (Winterreise, in programma il 31 ottobre 2020) del nostro direttore Ricardo Fernando con l’Orchestra del Teatro».

Come le sembra la situazione della danza in Germania in questo periodo così complesso?
«Devo ammettere che la Germania è un posto ideale per svolgere la nostra professione: quello che più mi ha affascinato, dandomi da subito la giusta carica quando nel 2019 mi sono trasferito lì in forma stabile, è stato il rispetto che si respira nei confronti della nostra arte, essendo tangibile l’interesse da parte del pubblico, ma anche dello Stato e di tutte le istituzioni coinvolte. Mi sembra quasi doveroso sottolineare con grande apprezzamento che, nonostante la crisi socio-economica causata dalla pandemia Covid-19, lo Stato prima, e la compagnia di conseguenza, non hanno mai fatto mancare il necessario supporto a noi artisti, garantendo una prosecuzione prima virtuale e poi fisica del lavoro».

Come è stato gestito il periodo di lockdown dalla compagnia di Augsburg?
«La compagnia ha preferito lasciarci “liberi”, ritenendo che ognuno di noi preferisse trascorrere le settimane di lockdown secondo le individuali esigenze e dunque senza impegni o “obblighi”; personalmente credo che sia stata la scelta migliore. Chiaramente siamo rimasti costantemente in contatto con la direzione tramite meeting sulla piattaforma Zoom per essere tempestivamente informati sulla situazione e sulle eventuali novità o cambiamenti di programma».

Quando avete avuto modo di rientrare in studio?
«Non appena terminato il lockdown, nel mese di maggio siamo lentamente tornati in sala con una serie di accorgimenti come la disinfezione delle sbarre e del pavimento, prima e dopo la classe, in modo che ogni gruppo potesse lavorare in massima sicurezza. Abbiamo iniziato suddivisi in tre gruppi, soltanto per il training; un mese dopo abbiamo avuto la possibilità di lavorare in due gruppi e di creare le coreografie per lo spettacolo che è andato in scena nel mese di luglio nel Teatro all’aperto realizzato ad hoc per questa situazione di emergenza. Attualmente siamo in ferie e riprenderemo il 14 settembre, sempre divisi in due gruppi fino a nuove comunicazioni».

Ha mai avuto modo di creare coreografie per l’ensemble di Augsburg?
«Sì! Con grande dispiacere, proprio a causa dei recenti eventi, non ho potuto vedere in scena una mia coreografia che era stata inserita nella stagione 2020 e programmata per lo scorso mese di maggio all’interno della serata dedicata ai giovani coreografi. Mi piace tuttavia pensare che, come tutto il resto, anche questo sia soltanto rimandato! L’intera compagnia non si è mai persa d’animo, soprattutto grazie allo splendido spirito di iniziativa del direttore Ricardo Fernando, il quale è riuscito ad ottenere la realizzazione di una serata, nel massimo rispetto di tutte le misure anti-covid: lo spettacolo è andato in scena il 15 e il 16 luglio ad Augsburg, presso il Teatro all’aperto, seguendo le norme di sicurezza; per l’occasione ho avuto la possibilità di creare dei soli per i miei colleghi Gabriela Finardi, Cosmo Sancilio, Franco Ciculi e Michele Nunziata».

Durante i mesi di lockdown lei non è stato del tutto inattivo. Ha dato vita con Francesca Poglie al progetto video Can you hear me laughing? presentato recentemente al Lago Film Fest. Di che progetto si tratta?
«Il video progetto Can You Hear me laughing nasce da un’idea mia e di Francesca Poglie, ex collega e grande amica oltre che artista per me speciale. Come molti, anche io ho utilizzato il tempo della quarantena per fare un po’ di introspezione, rivalutando la mia scala di priorità e reali necessità.  Un blackout sociale che mi ha permesso di scoprire dentro di me nuove luci ed ombre. L’idea è nata in maniera casuale con Francesca e poi abbiamo coinvolto altri ragazzi, i colleghi e amici Martina Piacentino, Cosmo Sancilio, Nicola Stasi, Gloria Tombini e Chiara Toniutti: ci davamo appuntamento ogni mattina per un mini-allenamento, inizialmente per tenerci in forma. Subito dopo la lezione finivamo per perderci in lunghe chiacchierate. All’improvviso ciò che sembrava in principio surreale era diventata la nostra normalità: sorseggiando caffè, come fossimo seduti al tavolo di un bar, tra le mille cose che ci raccontavamo, un giorno è nata in noi la voglia di danzare insieme; da qui l’idea, l’embrione di Can you hear me laughing? In concreto, ogni settimana davo loro alcuni task, assegnando ad ognuno il compito di creare dei piccoli video, successivamente editati da Cosmo Sancilio. È stata sorprendente, poco dopo, la richiesta di inserirlo nel progetto Dance Inside a cura di Giuseppe Di Stefano, e ancora più sorprendente la successiva proposta da parte di Lago Film Fest di crearne una versione più ampia, proiettata in prima assoluta il 25 luglio 2020 in una location molto suggestiva a Revine Lago (TV) ».

Cosa vi ha ispirato?
«Il progetto è nato dalla necessità di dar voce al nostro corpo in un momento difficile come quello che abbiamo vissuto nelle settimane di lockdown: la distanza fisica e la necessità di non sentirsi da soli spingono l’essere umano, in modo meraviglioso ma anche disperato, ad immaginare, ascoltare e sentire l’altro: una ricerca di umanità nelle risate, nei passi, nella voce, con l’obiettivo di far sentire la propria presenza “dall’altra parte”. Creando questo lavoro abbiamo non solo trovato la mappa di una nuova vita quotidiana e una nuova sensibilità, abbiamo anche ritrovato il legame profondo, il filo conduttore che ci unisce e ci fa sentire parte del mondo».

Le piace l’esperienza della danza in video?
«Mi ha sempre affascinato e credo si possa dire molto attraverso una telecamera, ma confesso di essere ancora molto legato alla rappresentazione dal vivo. Esibirsi davanti ad un pubblico è un’emozione che non si può spiegare, un turbinio di sensazioni che ti pervade, percorre tutto il corpo e arriva dritto al cuore. Se ho intenzione di proseguire con la danza in video? Un’anticipazione: ho già in mente un nuovo progetto che realizzerò insieme a Cristina Spelti, artista visiva e ideatrice, con me, del concept, ma è ancora un po’ presto per parlarne…»

Quali sono i suoi prossimi progetti come coreografo?
«Ho tante idee, forse troppe, e sto cercando lentamente di realizzarle tutte. Alcuni progetti del 2020 sono solo in standby o posticipati a causa della pandemia; mi riferisco alla tournée delle mie creazioni Embracing e You deserve a lover in Italia (Vicenza, Torino, Macerata e Milano) e l’invito all’International Ballet Festival of Miami diretto da Eriberto Jimenez con il brano Human Race creato nel 2019 (appuntamenti, questi, al momento rimandati al 2021).
Creerò inoltre per la Delattre Dance Company (diretta da Stephen Delattre e con sede a Mainz, in Germania) un trio che debutterà a Francoforte nell’aprile 2021».

E come interprete?
«Devo dire che questo nuovo inizio in Germania mi ha dato una carica particolare. Nelle mie più intime considerazioni, qualche anno fa avevo pensato di concludere la mia carriera da danzatore; fortunatamente lo spirito e l’amore che c’è in Germania per la danza, e quindi la nuova dimensione che qui ho trovato, mi ha imposto di rimettere in discussione i miei progetti. Ho ancora troppa voglia di emozionarmi e di sognare per lasciare definitivamente il palcoscenico».

Qual è il suo rapporto con l’Italia oggi?
«Amo il mio paese e quando è possibile faccio sempre un salto per salutare parenti e amici sparsi lungo la penisola. Purtroppo il nostro settore non è molto valorizzato in Italia e diversi aspetti potrebbero andare decisamente meglio. Alla luce dell’esperienza in Germania non posso che rammaricarmi del fatto che proprio il nostro paese, culla dell’arte e della cultura, non riesca a dare il giusto spazio alla danza. Mi accorgo che qui in Germania ogni città, anche la più piccola, ha un teatro funzionante e in ogni compagnia è possibile trovare un numero elevato di bravi danzatori italiani.
Continuo naturalmente a mantenere ottimi rapporti di lavoro Italia, in primis con le scuole, per le quali ho lavorato tanti anni e con le quali collaboro ancora (impegni di lavoro permettendo) con grande piacere e stima.
Un’altra importante collaborazione è quella con la vetrina Anticorpi XL che ha selezionato nel 2018 il mio lavoro You deserve a lover; parteciparvi è stata un’esperienza nuova e stimolante che mi ha dato grande visibilità».

Da dove parte in genere la sua ispirazione coreografica?
«Sicuramente è dalla musica che nasce l’ispirazione; credo però che il vero motore siano le emozioni che la musica suscita in me. Il tema segue poi un percorso naturale; amo raccontare partendo dalle mie esperienze di vita. Viviamo in un mondo stereotipato, dove tutto è puntato sull’apparire e raramente sull’essere. Come risposta, la mia esigenza è diventata quella di andare oltre tutto questo: cercare, scavare a fondo, fuori e dentro me…
Gli interpreti giocano poi un ruolo fondamentale; mi piace lavorare “insieme” all’interprete, partendo dalle mie idee, ma dedicandomi anche agli input del danzatore che ho di fronte. È come se un disegno all’improvviso prendesse forma; è importante osservare come ogni singolo passo cambi sul corpo del danzatore, rendendolo unico ed inimitabile. Personalmente credo in questa forma di danza, quella che non è possibile duplicare, quella che, come fa lo stilista con ago e filo, viene cucita addosso al danzatore che la interpreta dando vita ad un pezzo “fatto a mano” e mai in serie».

La situazione che stiamo vivendo nel mondo rappresenta una “sfida” per voi artisti e a maggior ragione per voi coreografi. Pensa sia possibile continuare a creare per la danza?
«Sì, sarà possibile continuare a creare con la danza e per la danza: è chiaro che al momento teatri e coreografi sono messi alla prova e non è semplice pensare ad uno spettacolo senza duetti e interazioni tra i danzatori, ma forse è una sfida che dobbiamo accogliere come uno stimolo per provare a creare qualcosa di nuovo, di diverso, in un mondo che ormai ha sperimentato e visto tutto. Chissà, forse scopriremo davvero che “meno è meglio”. Voglio pensare che questa esperienza di crisi mondiale possa ribaltarsi infine in una nuova linfa vitale per l’arte e per la danza».

Lula Abicca

09/09/2020

Foto: 1. Giovanni Napoli, ph. Nicola Stasi; 2.-4. Giovanni Napoli, ph. Andrea Gianfortuna ; 5.-8. Embracing di Giovanni Napoli, ph. Lorenzo Gatto; 9.-10. Ne mai sí dolci baci di Giovanni Napoli, ph. Nicola Stasi; 11.-13. Ne mai sí dolci baci di Giovanni Napoli; 14.-16. About Relations di Giovanni Napoli, ph. Admil Kiler.

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