L'intervista

Jia Ruskaja nel racconto di Chiara Zoppolato

Il 19 aprile 1970 moriva Jia Ruskaja, danzatrice, coreografa e fondatrice della prima e unica scuola pubblica di danza in Italia, l’Accademia Nazionale di Danza. Sulla sua storia personale e sulle origini dell’Accademia circolano varie storie, alcune vere e altre inventate. Chiara Zoppolato, allieva di Jia Ruskaja, per 36 anni docente dell’Accademia Nazionale di Danza e oggi Presidente della Fondazione dell’Accademia Nazionale di Danza, ci racconta la vera storia sfatando miti e leggende, e ci regala un ritratto a tutto tondo di questa donna autoritaria e carismatica, una donna che aveva una visione della formazione in tema di danza assolutamente ancora attuale.

Oggi 19 aprile 2020, ricorrono i 50 anni della morte di Jia Ruskaja, danzatrice, coreografa, insegnante e fondatrice dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma. Sul suo conto circolano diverse storie, alcune vere e alcune di pura invenzione.

Con Chiara Zoppolato, allieva di Jia Ruskaja, per 36 anni docente dell’Accademia Nazionale di Danza e oggi Presidente della rinata Fondazione dell’Accademia Nazionale di Danza, ripercorriamo la vita di questa donna fuori dal comune facendo luce sulla nascita dell’Accademia, ancora oggi unico Istituto pubblico dedicato alla formazione della danza.

Jia Ruskaja era di origine russa. Come è arrivata in Italia?
«Della vita di Jia Ruskaja, prima del suo arrivo in Italia, ci sono molte versioni più o meno leggendarie.
Dai documenti italiani risulta nata a Kerc, in Crimea, con il nome di Eugenia Borisenko, figlia di un alto ufficiale dell’esercito imperiale russo, il 6 gennaio 1902, anche se credo che il vero anno di nascita sia di qualche anno anteriore.
Anton Giulio Bragaglia, noto regista, critico e saggista, che l’ha conosciuta al suo arrivo in Italia e che ha avuto con lei un lungo sodalizio artistico, in un articolo del 1952 scrive che durante la Rivoluzione Russa del 1917 Jia Ruskaja ha combattuto in un reggimento volontario di donne al seguito del generale Denikin, capo dell’Armata Bianca. E’ poi fuggita dalla Russia in compagnia del padre, imbarcandosi su una cannoniera inglese, dove probabilmente ha conosciuto il marito, Paul Dougle Evans, ufficiale inglese con il quale si sarebbe sposata a Costantinopoli durante il viaggio verso l’Inghilterra. Se l’anno di nascita fosse corretto avrebbe dovuto avere 15 anni».

Si è dunque trasferita in Inghilterra?
«Su questo punto la storia non è chiara. Certo è che questo matrimonio durò poco anche perché lei era ansiosa di conoscere la cultura europea e soprattutto volle studiare in Svizzera, iscrivendosi alla Facoltà di medicina, probabilmente perché aveva una sicura conoscenza delle lingue francese e tedesca, studiate nella scuola russa, e non altrettanta dell’inglese, che, per quanto ricordo, ha continuato più o meno ad ignorare per tutta la vita».

Come è arrivata in Italia?
«E’ arrivata a nel 1920 per un viaggio di piacere a Firenze al seguito di un amico poeta armeno- russo. Come molti russi dell’epoca, si innamorò dell’Italia e decise di trasferirsi a Roma. Questo suo amico poeta la introdusse negli ambienti artistici d’avanguardia dove conobbe il già citato Anton Giulio Bragaglia, amico di Filippo Tommaso Marinetti, sostenitore della corrente futurista e fondatore nel 1922 del Teatro degli Indipendenti. Grazie al sodalizio artistico con Bragaglia, Eugenia Borisenko cambiò nome, diventando Jia Ruskaja, e iniziò le sue esibizioni di danza, che da azioni mimiche e danza diventarono via via sempre più articolate nel segno della danza libera».

Fu dunque una danzatrice negli anni Venti?
«Sì, ed era anche applaudita e ricercata da artisti come Pirandello, Marinetti, Soffici, Pradella, Bontempelli, Prampolini, De Chirico, Malaparte, Trilussa e tanti altri che poi divennero famosi.
Nel 1924 danzò anche al Teatro Regio di Torino e fece tournée fuori dall’Italia. Scrisse anche un libro, nel 1927, La Danza come un modo di essere corredato da diverse foto.
Fu poi l’incontro con Ettore Romagnoli a condurla verso il mondo classico e la sua danza assunse un sapore grecizzante. Collaborò con l’Istituto del Dramma Antico cimentandosi come coreografa negli allestimenti di Ifigenia in Aulide e Agamennone al Teatro Greco di Siracusa».

E l’insegnamento?
«Nel 1929 si trasferì a Milano dove aprì la sua prima scuola di danza in un salone del Teatro Dal Verme. L’obiettivo era temerario per l’epoca: voleva formare delle danzatrici che avessero una cultura. All’epoca i ballerini abbandonavano gli studi regolari abbastanza presto ed è sempre stata una convinzione forte della Ruskaja quella che i danzatori dovessero avere anche una solida cultura umanistica. Un’idea veramente rivoluzionaria per l’epoca e che lei ha perseguito per tutta la vita».

Era dunque una donna amante della cultura?
«Jia Ruskaja ha sempre amato frequentare intellettuali e anche a Milano la sua casa diventò ben presto un famoso salotto letterario, frequentato, come racconta Marco Ramperti, da molti nomi celebri come Bacchelli, Ojetti, Vergani, Buzzati, Marino Marini, Marotta, Piovene, Arturo Martini, De Sica, Repaci e Aldo Borelli, l’allora direttore del Corriere della Sera, che poi divenne il suo secondo marito nel 1935.
Pochi sanno inoltre che Jia Ruskaja ha condiviso con Ettorina Mazzucchelli la direzione della Scuola di ballo del Teatro alla Scala dal 1933 al 1935.
Dopo questa esperienza Jia Ruskaja riaprì una sua scuola, sempre a Milano, portandosi al seguito alcune allieve scaligere, tra cui Giuliana Penzi e Avia De Luca, allora poco più che quindicenni, con le quali cominciò ad impostare il suo programma didattico.
Nel 1936 partecipò con le allieve della sua scuola milanese alle Olimpiadi di Berlino. La Scuola vinse il Lauro d’Oro e due sue allieve, Giuliana Penzi e Avia De Luca ottennero la medaglia d’oro come soliste.
Un altro successo di questa sua scuola milanese arrivò nel 1939. La scuola partecipò al Concorso Internazionale di Bruxelles dove Giuliana Penzi vinse il 1° premio».

Se viveva a Milano come mai una fondò una Scuola di danza a Roma?
«Difficile ricostruire la vera storia. Jia Ruskaja voleva creare una scuola pubblica e certamente la sua amicizia con Silvio D’Amico giocò un ruolo importante. Fu proprio durante gli anni di guerra, nel 1940, che ottenne l’istituzione della Regia Scuola di Danza con sede a Roma. Certo non era una scuola autonoma ma era una sezione dell’Accademia d’Arte Drammatica allora diretta proprio da Silvio D’Amico. Aveva sede in un villino dei primi del Novecento, in via Cisalpino, e aveva una sola sala di danza. Il programma era assolutamente innovativo: prevedeva infatti non solo la formazione di danzatrici, ma anche di compositrici e insegnanti. E fu istituita con un apposito Decreto Regio, ossia una legge ad hoc».

In molti credono che l’apertura di questa Regia Scuola fu grazie ai rapporti con il fascismo, anzi ad un rapporto diretto con Mussolini.
«Questo è un falso. Non credo che la Ruskaja abbia mai incontrato Mussolini in vita sua. Credo piuttosto che sia vera un’altra storia, ossia quella di una donna molto determinata, con delle idee innovative, ben introdotta nel mondo culturale dell’epoca e disponibile a dialogare con governi di qualsiasi colore pur di raggiungere un obiettivo. Non è mai stata un’appassionata di politica. E’ da tenere conto che fino al 1943 la Ruskaja ha vissuto a Milano e ha tenuto contemporaneamente la direzione di entrambe le scuole di danza, quella milanese e la neonata Scuola Regia a Roma. Ad impostare la Scuola a Roma mandò Giuliana Penzi. Certamente è plausibile che con un marito Direttore del Corriere della Sera, abbia avuto facilità a individuare i giusti canali per imporre le sue idee. Ma di certo non era una fascista. Era una persona carismatica, che nel tempo, ha sempre dimostrato di sapersi rapportare da pari con governi di qualsiasi colore».

Quando nasce l’Accademia Nazionale di Danza come organismo autonomo?
«Nel 1948, dopo la fine della guerra, fu sancita, sempre con una legge ad hoc, l’autonomia della Scuola che divenne Accademia Nazionale di Danza, un istituto che, sotto la direzione di Jia Ruskaja, ha attirato a Roma i più famosi esponenti della danza internazionale. Con la fine della guerra la Ruskaja si era trasferita a Roma, dedicando tutte le sue energie a questo progetto».

La trasformazione portò il trasferimento della sede all’Aventino?
«No. Solo nel 1954 Jia Ruskaja riuscì a far trasferire l’Accademia nella sede attuale, il Castello dei Cesari, all’Aventino, una sede più spaziosa e prestigiosa rispetto alla precedente di Via Cisalpina, una sede adeguata a realizzare il suo ampio progetto di scuola che prevedeva una frequenza degli allievi a tempo pieno con una precisa successione oraria: la scuola media ed il liceo nelle ore antimeridiane e, dopo la pausa pranzo, lo studio delle materie curriculari specifiche, teoriche e pratiche, del programma di studio dell’Accademia».

La sede all’Aventino non è dunque un dono del fascismo come molti vagheggiano.
«Assolutamente no. La storia lo dice. A sostenere il progetto di trasferimento furono diverse persone tra cui l’Onorevole Gaetano Martino, deputato di area liberale, dal 1948 vice presidente della Camera e dal settembre 1954, Ministro della Pubblica istruzione. Nonostante i diversi incarichi politici e istituzionali, Martino fu Presidente dell’Accademia Nazionale di Danza per lunghi anni. Tra lui e Ruskaja c’era un rapporto di grande amicizia e stima reciproca. Non fu un caso che le allieve dell’Accademia furono invitate a danzare a nell’Anfiteatro di Taormina nel 1955. In quell’anno Martino era Ministro degli Esteri e fu promotore a Messina di una importante Conferenza europea che gettò le basi per la firma dei Trattati di Roma. Lo spettacolo che accompagnò l’evento fu proprio quello delle allieve dell’Accademia a Taormina ».

E la scritta che troneggia all’ingresso dell’Accademia che recita “su questo colle donato dal Duce…”?
«La costruzione era un ex collegio della GIL (Gioventù italiana del littorio), un collegio istituito da fascismo e pertanto si riferisce alla sua fondazione. Non ha nulla a che vedere con l’Accademia».

Come fu ristrutturata l’Accademia?
«L’edificio era circondato da un ampio giardino e la Ruskaja incaricò subito l’architetto Luigi Moretti, suo vecchio amico, di preparare un progetto che prevedesse di utilizzare lo spazio libero per far sorgere un convitto, un teatro all’aperto in stile classico e perfino una piscina, perché lei era convinta che il nuoto fosse utile e complementare alla danza. L’Architetto Moretti si innamorò del progetto tanto che fece anche un plastico in legno che ho avuto modo di ammirare nel 2010 ad una mostra a lui dedicata al MAXXI di Roma».

Questo progetto non fu mai realizzato.
«Purtroppo no. Ma i lavori di ristrutturazione li ricordo bene perché proprio nel settembre del 1954 ho sostenuto l’esame di ammissione al 1° corso. Ricordo che ero eccitatissima, anche perché potevo finalmente realizzare il sogno di studiare danza, che non era mai stato assecondato dai miei genitori, grazie alla fortunata coincidenza fra l’età e la vicinanza del mio domicilio. Ricordo che fui accolta direttamente da Jia Ruskaja, bellissima, affascinante e sorridente, ma con uno sguardo inquisitore che incuteva soggezione.
L’Accademia non aveva ancora completato i lavori e nel grande androne di accesso mancava ancora la pavimentazione.
Nel 1954 l’Accademia aveva tre sale attrezzate per la danza, uffici che più o meno sono rimasti negli stessi locali, una sala mensa, un locale bar, una piccola cappella inserita in una nicchia dell’androne, tre aule scolastiche per le tre classi della scuola media, sezione distaccata della media Visconti. Queste tre aule venivano utilizzate anche per le lezioni delle materie culturali curriculari dell’Accademia. Già dagli anni Cinquanta le allieve dei corsi medi-superiori studiavano solfeggio, storia dell’arte, storia della musica e teoria della danza, una materia che comprendeva lo studio del sistema di notazione della danza ideato ed insegnato dalla stessa Jia Ruskaja. Al corso di Perfezionamento si aggiungeva la storia della danza.
L’Istituto si è andato poi ampliando secondo le esigenze scolastiche. Nel 1955 fu aggiunta un’aula per il 4° ginnasio e così via: mano a mano che le allieve passavano alla classe successiva del liceo classico, sezione distaccata del liceo Virgilio, furono aggiunte altre aule».

Come era Jia Ruskaja come direttrice?
«Era una donna bella, colta, affascinante, ma molto autoritaria. Su di lei sono stati espressi giudizi contrastanti.
Certamente è vero che aveva un polso di ferro e che gestiva l’Accademia come fosse la sua scuola e non un Istituto pubblico. Al giorno d’oggi non sarebbe concepibile, ma lei assumeva il personale selezionandolo personalmente a seconda delle esigenze della scuola. E questa modalità non riguardava solo i docenti di danza o i maestri ospiti. Sceglieva i pianisti accompagnatori dopo averli sottoposti ad esame sia come esecutori che come improvvisatori. E il personale ausiliario veniva anche questo selezionato dalla Ruskaja tenendo conto delle loro specifiche capacità e abilità. Il risultato era che l’Accademia aveva un giardino fiorito e perfettamente curato, il mobilio aveva una manutenzione perfetta grazie ad un bidello con esperienza di falegnameria, il guardaroba era sapientemente gestito e i costumi conservati in perfetto stato e sempre puliti. Persino il bidello con mansioni di guardiania notturna fu scelto dalla Ruskaja perché esperto lucidatore di marmi, cosicché durante il servizio poteva curare i marmi dei pavimenti che erano sempre perfetti.
Di contro era capace di licenziare in tronco chi non la assecondava o non la soddisfaceva.
Era anche abile a guadagnare i consensi. Sembrerà strano ma non fu facile far accettare una scuola di danza sull’Aventino. Il colle era appannaggio dei conventi religiosi, addirittura confinante con una scuola maschile. Ma Jia Ruskaja non arretrò di fronte alle polemiche, anzi adottò una vera politica di ricerca di consensi. Invitò per primo il Padre Generale dell’Ordine dei Domenicani della basilica di Santa Sabina a visitare l’Accademia e riuscì a conquistarlo a tal punto che ottenne che ogni anno venissero dei padri domenicani a prepararci con gli esercizi spirituali per la Comunione Pasquale che, con una dispensa speciale, andavamo a celebrare all’interno del Coro della Basilica, un luogo che era riservato esclusivamente ai monaci e non certo alle donne. La cerimonia era preparata e si svolgeva in modo coreografico e risultava molto suggestiva».

E come si relazionava con le allieve?
«Aveva un rapporto diretto ed autoritario, pretendeva una ferrea disciplina e controllava il decoro anche nell’abbigliamento. Se facevamo un’assenza ci faceva telefonare a casa per chiedere giustificazione. Era peggio del medico fiscale.
Devo però riconoscere che con tanta disciplina era molto più divertente riuscire a trasgredire.
Non aveva il senso del tempo, raramente era presente in istituto nelle ore antimeridiane, e spesso si presentava addirittura quando per il personale era ora di uscita, pretendendo che tutti rimanessero a lavorare con lei.
Ricordo che spesso, dieci minuti prima del termine delle lezioni, alle 20.00, vedevamo aprirsi la porta della sala danza; la sua apparizione significava dover ripetere una prova sotto la sua supervisione.
Era un animale notturno, dopo il lavoro, terminato a tarda sera, amava cenare il più delle volte al ristorante, mai da sola, ospitando giornalisti, coreografi, pittori, musicisti, portando spesso con sé qualche allieva. Ricordo di essere intervenuta più volte a queste cene e di aver partecipato a conversazioni che mi hanno ampliato il panorama culturale. E da femminista ante-litteram quale era, ha sempre preteso di pagare il conto, mettendo spesso in imbarazzo i suoi ospiti di sesso maschile».

Durante la sua Direzione avete avuto numerosi maestri ospiti.
«Sì tanti, tantissimi maestri provenienti da tutte le parti del mondo. David Lichine, Leonide Massine, Lubov Tchernicheva, Kurt Jooss, Birghit Akesson, Anton Dolin, Harald Lander, Lotte Goslar, Birger Bartholin, Luisa Grimberg, Mila Cirul, Clotilde e Alexandre Sakaroff, Boris Kniaseff, Alicia Boniuszko, Nina Vyroubova, Pauline Koner, Witaly Osins, Karin Waehner, Boris Trailine, Mira Kinch, Ol’ga Lepesinskaja, Jean Cebron, Juan Corelli.
I maestri si alternavano ogni anno per portare alle allieve le diverse esperienze e stili, sia nella tecnica classica che in quella moderna che lei considerava tecniche complementari. Anche in questo era una donna che guardava avanti rispetto al suo tempo. E questi grandi maestri insegnavano in tutti i corsi. Personalmente ho avuto la fortuna di studiare con Kurt Jooss al 2° corso, con Harald Lander e Lotte Goslar al 3°e con tutti gli altri dal 4° in poi.
E a loro veniva affidata la realizzazione di coreografie per gli spettacoli. L’unica creazione di Jia Ruskaja che si è tramandata per tutti gli anni della sua Direzione, è stata l’Orchestica, che originariamente consisteva in una sequenza di piccole composizioni coreografiche che mirava a esercitare contemporaneamente la sensibilità espressiva e la consapevolezza e l’autocontrollo del corpo. Nel corso degli anni l’Orchestica si è continuamente aggiornata e arricchita con l’apporto di esercizi provenienti dalle più svariate tecniche moderne e contemporanee insegnate dai vari maestri ospiti, che la Ruskaja riteneva utili da inserire nel programma facendone dei piccoli cammei. L’Orchestica veniva quindi studiata con diversi livelli di difficoltà fin dai primi anni di studio».

Il sogno di Jia Ruskaja era formare danzatori?
«Sì certo ma non solo. Lei puntava a fare dell’Accademia un polo di riferimento per i danzatori, coreografi e insegnanti italiani. E furono tante le azioni da lei intraprese per raggiungere questo obiettivo.
Nel 1956 sono iniziate le pubblicazioni annuali, i Numeri Unici sui quali comparivano comunicazioni sull’attività dell’istituto e saggi di illustri esponenti della cultura come Jooss, Argan, Palazzeschi, Valery, Pannain, Mila, Ramperti ed altri. Le pubblicazioni sono andate avanti fino 1965.
Nel 1957 ha fatto nascere l’Associazione Nazionale degli Insegnanti di Danza che ha offerto anche dei corsi di aggiornamento annuali, tenuti spesso da noti maestri internazionali.
Ha promosso incontri e conferenze con noti esponenti della cultura della danza e non, al fine di offrire a noi allieve il più ampio panorama culturale.
E sognava di trasformare il corso di Perfezionamento in un corso di livello universitario. Questo corso per legge doveva durare tre anni, ma in realtà lei aggiunse un ulteriore anno, considerato di orientamento, prima della scelta del ramo di studi (danzatori, insegnanti o coreografi). Tutto questo perché voleva una frequenza di quattro anni per poterci far ottenere un diploma simile a quello rilasciato dall’ISEF. Per dare una formazione agli insegnanti di danza che non avevano frequentato l’Accademia, fondò, sempre negli anni Cinquanta, il Corso di Avviamento che rilasciava abilitazioni all’insegnamento ai primi tre anni di Corso.
Era anche molto interessata alla coreografia. Nel 1957 partecipò al 1° Congresso Mondiale dei Coreografi ad Aix Les Bains in qualità di vice presidente (il Presidente era Serge Lifar) e nel 1958 su sua iniziativa, nacque il Centro Nazionale Coreutico che raccolse le adesioni di molti artisti dei teatri lirici italiani e diede vita ad una settimana di spettacoli sul palcoscenico dell’Accademia a cui parteciparono anche danzatrici e allieve dell’Accademia. Nel 1959, all’interno del Centro Nazionale Coreutico, venne istituita una sezione sperimentale per giovani coreografi, che presentarono nel maggio 1960 le loro opere create per le allieve dell’Accademia in un saggio-spettacolo pubblico, sottoponendosi al giudizio di una Commissione Artistica composta da famose personalità del mondo artistico».

Avevate dunque diverse occasioni di spettacolo.
«In realtà non moltissime. Ricordo però che nel 1960, in occasione delle Olimpiadi di Roma, il tradizionale saggio-spettacolo che concludeva l’anno accademico nel mese di luglio, venne spostato alla sera del 25 agosto, giornata inaugurale delle Olimpiadi, e il programma si concludeva con una coreografia intitolata Cinque Cerchi in cui 5 soliste danzavano con dei cerchi formando con essi il simbolo olimpico.
Gli spettacoli di fine anno dell’Accademia erano un evento che attirava personalità politiche (ricordo la presenza di Aldo Moro in platea), dell’ambiente diplomatico e culturale che non perdevano l’appuntamento con uno spettacolo sempre di buon livello inserito in un fondale naturale spettacolare.
Dal 1960 al 1968 i saggi si svolsero al chiuso, nel teatrino, con un pubblico necessariamente ridotto. Questo a causa di un contenzioso legale per un terreno confinante con il giardino dell’Accademia che la Ruskaja vagheggiava di poter ottenere per avere una seconda uscita su strada, come richiesto dal Ministero, per poter realizzare la costruzione del teatro progettato da Moretti. Il terreno non l’ottenne mai, ma nel 1965 quando il villino Munoz, confinante con l’Accademia, fu messo in vendita all’asta, Jia Ruskaja fu in grado di acquistarlo come proprietà dell’Opera dell’Accademia Nazionale di Danza. La sua speranza era poter finalmente realizzare il progetto del teatro progettato da Moretti e farne anche una foresteria per gli studenti fuori sede. La sua morte ha impedito la realizzazione di questo progetto».

Lei ha citato l’Opera dell’Accademia.
«L’Opera dell’Accademia Nazionale di Danza fu fondata da Jia Ruskaja nel 1963. Era un Ente morale, con autonomia amministrativa. La finalità era il sostegno agli studenti e alle attività dell’Accademia».

Jia Ruskaja ha lasciato tutti i suoi beni all’Opera dell’Accademia Nazionale di Danza.
«Sì. Escludendo alcuni modesti lasciti in denaro, nel suo testamento ha nominato l’Opera dell’Accademia Nazionale di Danza erede universale di tutti i suoi beni mobili ed immobili. E si trattava di patrimonio consistente. Comprendeva il grande appartamento in cui viveva a Roma che, stando alle sue volontà testamentarie, sarebbe dovuto diventare un museo. C’erano dei terreni all’Argentario che lei stessa aveva ereditato e che, sempre nel testamento, aveva lasciato all’Opera dell’Accademia per creare una casa di riposo per ballerini indigenti e al contempo una residenza estiva per allievi bisognosi. E erano anche libri, sculture e quadri. Alla sua morte fu fatto un elenco dettagliatissimo di tutto il suo patrimonio. Purtroppo nel corso degli anni molto è andato perduto e la Fondazione dell’Accademia, che è subentrata giuridicamente all’Opera dell’Accademia, oggi fa fatica a rintracciare molti dei beni lasciati in eredità dalla sua fondatrice.

Anche i gioielli di Jia Ruskaja furono lasciati in eredità all’Opera dell’Accademia?
«No. E questa è una storia che pochi conoscono. Jia Ruskaja aveva deciso di lasciare i suoi gioielli, 36 pezzi in buona parte di notevole valore, a 18 sue ex allieve ed insegnanti che per diversi motivi avevano mantenuto dei legami attivi con l’Accademia Nazionale di Danza.
Nel testamento non c’è menzione di questi gioielli. E questo volutamente perché aveva ideato un piano articolato per non fare preferenze tra le destinatarie del lascito, e organizzato una forma di consegna che si può definire “segreta” per non far pagare tasse di successione.
Lei stessa aveva confezionato 18 pacchetti, con due gioielli in ognuno, abbinati tra loro non per il valore, ma tenendo conto di come li aveva indossati, da chi li aveva ricevuti in dono o ancora quando li aveva acquistati.
Lei stessa aveva depositato questi 18 pacchetti in banca, nella sua cassetta di sicurezza, e aveva dato la delega, la chiave e istruzioni scritte ad una amica fidata. Secondo quanto scritto, al momento del decesso questa signora avrebbe dovuto recarsi subito in banca, trasferire i gioielli in altra cassetta a suo nome, e poi procedere a convocare le diciotto destinatarie per assegnare a ciascuna di loro un pacchetto. L’assegnazione dei pacchetti sarebbe dovuta avvenire con una regolare estrazione a sorte.
In realtà le cose sono andate in altro modo. Al momento del decesso della Ruskaja la signora non si è assunta la responsabilità di assolvere il mandato, e si è fatta accompagnare in banca dall’esecutore testamentario, cosicché la cassetta di sicurezza, ufficialmente riconosciuta, è entrata a far parte del legato testamentario.
Pur volendo l’Opera onorare la volontà della defunta, la pratica burocratica avviata per svincolare i gioielli dall’eredità testamentaria ha avuto un lunghissimo iter, a conclusione del quale, pagando regolari tasse di successione, le diciotto eredi, una delle quali ero io stessa, sono venute finalmente in possesso dei gioielli nell’anno 1979».

Quale è stato il suo rapporto personale con Jia Ruskaja?
«Tenendo conto che Jia Ruskaja aveva una personalità forte e controversa e io un carattere poco disposto ad accettare supinamente quelle regole che non giudicavo giuste, il nostro rapporto è stato molto simile a quello che si instaura spesso fra madre e figlia, con momenti di amore alternati a inevitabili tensioni. E’ però attraverso i contrasti che si consolidano i legami.
Un riconoscimento per me importante da parte sua mi arrivò nel 1967: la Ruskaja lasciò la cattedra di teoria della danza, e passò l’incarico a me, fin dall’anno accademico 1967-68, nonostante io fossi ancora allieva dell’ultimo anno del Corso di Perfezionamento. Fu un vero attestato di stima.
Nutro ancor oggi nei suoi confronti un sentimento di grande affetto, stima e rispetto, sentimenti questi che condivido con anche altre allieve storiche dell’Accademia con cui ancora oggi condivido rapporti e ricordi».

Francesca Bernabini

19/04/2020

 

Foto: 1. Jia Ruskaia, 1954; 2. Jia Ruskaia, periodo milanese anni Trenta; 3. Jia Ruskaia, 1936-37, Archivio storico Teatro Opera Roma; 4. Jia Ruskaja, ph. Ghitta Carell; 5.-6. Jia Ruskaja negli anni Sessanta; 7.   la copertina del libro di Jia Ruskaja, La danza come modo di essere, 1927; 8. -16. Jia Ruskaja, nelle immagini contenute nel libro La danza come modo di essere, 1927;  17. Jia Ruskaja, nelle immagini contenute nel libro La danza come modo di essere, sezione Momenti di danza foto dal film di Antonio Palermi 1927; 20. Danze Classiche compagnia Jia Ruskaja 1936-37, Archivio Opera Roma; 21. Spettacolo di Jia Ruskaja e dell’Accademia Nazionale di Danza all’Anfiteatro Greco di Taormina nel 1955. A desta al centro Caterina Commentucci. Ai suoi lati Giuliana Penzi e Avia De Luca; 22. Jia Ruskaja, spettacoli dell’Accademia Nazionale di Danza negli anni Cinquanta.

 

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