La recensione

La Passione secondo Emio Greco e Pieter C. Scholten al Teatro Argentina per REf16

È andata in scena il 30 settembre e il primo ottobre 2016, al Teatro Argentina per Romaeuropa Festival, Passione, creazione di Emio Greco e Pieter C. Scholten, già fondatori nel 1995 della compagnia EG | PC, nel 2009 del centro multidisciplinare ICKAmsterdam, e oggi direttori del Ballet National de Marseille. Nuova versione di Passione in due del 2012, riadattata al ‘corpo del ballo’ marsigliese, l’opera è un viaggio fulmineo in equilibrio tra raffinatezza ed essenzialità, in cui gli autori tornano a riflettere, con i danzatori, sui sette principi poetici e coreografici pubblicati nel 1996. Perfetta la regia dell’intero spettacolo che ha il pregio di uniformare le molteplici espressioni dei sette eccellenti danzatori in un quadro di estrema eleganza. Molto buona l’accoglienza del pubblico del Teatro Argentina.

Un palcoscenico sabbioso, ancora vergine delle tracce di un’umanità in corso d’opera e già residuo di una storia sacra e millenaria, ha accolto per Romaeuropa Festival 2016 (30 settembre e primo ottobre 2016 al Teatro Argentina) la Passione di Emio Greco e Pieter C. Scholten: un viaggio fulmineo e duplice in equilibrio stabile tra policromia fotografica e unicità di segno coreografico, pluralità d’espressione ed essenzialità di significato.

Estensione di una già compiuta Passione in due, interpretata nel 2012 dallo stesso danzatore e coreografo brindisino Emio Greco e dal compositore Frank Krawczyk, l’opera torna in vita sulle note di Johann Sebastian Bach (Passione secondo Matteo, 1727) in una forma molteplice ed espansa che ben rappresenta la nuova natura del Ballet National de Marseille. Riadattamento rischioso di una creazione esteticamente perfetta, la nuova Passione di Greco svela i tratti distintivi di una compagnia proiettata verso un nuovo corso che ne inaugura un capitolo d’autore dai caratteri identificativi e sistematici.

A dieci anni dalla stesura dei sette principi ‘necessari’ (pubblicati ai tempi della fondazione di EG | PC; The 7 Necessities), Greco e Scholten tornano ad analizzare i tasselli della propria direzione artistica su una scena che ne moltiplica le interpretazioni e che li porta ad un confronto con la propria missione di uomini e creatori di fronte all’adunata dei discepoli novelli.

“Il manifesto delle sette necessità è ancora attuale – ha spiegato Emio Greco nel corso dell’incontro del primo ottobre 2016 Bisogna che io vi dica… condotto da Ada D’Adamo per REf16 – perché emerge da luoghi arcaici e profondi del corpo e delle memorie antiche, che si arricchiscono continuamente e che si mettono in contatto con quello che ci accade oggi. Seguono una nuova dinamica della società, segnata anche dall’economia e dal venir meno del rischio o del coraggio. Sono principi che ci accompagnano, vanno con l’attualità del corpo e si trasformano da un momento all’altro. Dire che il mio corpo è curioso di tutto e che io sono il mio corpo vuol dire che ‘vado con lui’: è la contemporaneità e nello stesso tempo l’intuizione del futuro”.

L’oro delle luci di scena illumina con sacra discrezione un pianoforte ampio e centrale, che sarà punto di fuga costante per uno sguardo in preghiera verso una divinità assente e profondamente umano nella propagazione sonora di un gesto immanente e concreto. La rielaborazione della Passione di Bach ad opera di Krawczyk separa i versi del racconto biblico come in un montaggio cinematografico che diluisce e abbrevia le scene di un film, con l’effetto di sezionarne il corso e amplificarne il ricordo in un totale rimodellamento sonoro dell’opera. Compositore e interprete eccellente, Krawczyk è qui protagonista onnipresente e segreto artefice dell’azione scenica: una guida ritmica e visiva di sette personalità in movimento, che diventa testimone di un dialogo silenzioso e coautore della partitura di una nuova era.

Un danzatore per volta incarna in scena, una ad una, le sette necessità, annunciandole con richiami linguistici (il ballerino enuncia al microfono l’intero principio o alcune parole chiave come “curiosità” o “gioco”) e simbolici (le mela peccaminosa vistosamente gustata e provocatoriamente offerta), ma soprattutto alternando ad intensità e tecnicismi gestuali, attimi di leggerezza e ironia; il risultato è una scena progressivamente animata da microracconti che alzano e abbassano la tensione emotiva e potenziano la religiosa attesa di un evento mai annunciato eppure imminente.

Non sarà necessario scorgere tutti i parallelismi tra la Passione biblica e la traccia coreografica di Greco (seppure siano di fatto presenti, basti pensare alle fiaschette ordinatamente disposte su un lato del palcoscenico, richiamo molteplice al calice eucaristico, al dileggio di Gesù davanti al Sinedrio, all’unguento profumato alla cena di Betania, Mt 26-27) perché i segni di un mistico passaggio sono impressi nella memoria di ogni uomo come su quel suolo di sabbia segnato dai passi redentori di mille corpi, nuovamente abbandonati da un Dio che ne pietrifica lo sguardo in attesa di rinascite e visioni. Eppure vedremo in scena un Cristo addolorato e inquieto, immagine di un contrasto vivo e sofferto tra natura umana e missione divina, tra corpo e intenzione, giustizia terrena e celeste: un assolo tra i più toccanti, interpretato attraverso un movimento ampio e sonoro (udiremo più volte sospiri sottili come note di un linguaggio universale) che ben si accorda alla plastica fisicità dell’interprete (Angel Martinez-Hernandez) e ad un’energia fiera che ne oltrepassa l’aura dorata.

Bellissima la scena della danzatrice (Kety Louis Elizabeth) che porta con sé il mondo, rappresentato da un palloncino azzurro e volante: tra gli sguardi stupiti dei presenti, la donna sembrerà lasciarsi dirigere dal globo sospeso, burattinaio di un’umanità appena nata e direttore di una storia scandita dall’alto. Ricco di intere sequenze di tecnica classica, il movimento di Emio Greco parte da un corpo disciplinatissimo che non cede, ma piuttosto amplifica la certezza espressiva accademica come punto di partenza verso nuove libertà linguistiche: frequenti i gesti d’espansione in cui braccia e mani sembrano voler catturare qualcosa nell’aria e in lontananza, o l’emissione sonora di un respiro leggero e quieto, spirito vitale di un movimento che parte dall’interno e vibra nello spazio.

Perfetta la regia dell’intero spettacolo che ha il pregio di uniformare le molteplici espressioni dei sette eccellenti danzatori (Denis Bruno, Vito Giotta, Gen Isomi, Nonoka Kato, Kety Louis Elizabeth, Angel Martinez-Hernandez, Valeria Vellei) in un quadro di estrema eleganza. Molto buona l’accoglienza del pubblico del Teatro Argentina per un’opera che vive di immagini e suoni e che ridesta, in modo inatteso, anima e memoria collettiva.

Lula Abicca

02/10/2016

Di seguito un estratto di Passione in Due, interpretata nel 2012 da Emio Greco e dal compositore Frank Krawczyk

Di seguito un lungo estratto di Passione, spettacolo di Emio Greco, Pieter C. Scholten per 7 danzatori e 1 musicista andato on scena al Teatro Argentina nell’ambito del Romaeuropa festival.

Foto: Passione di Emio Greco e Pieter Scholten, ph. Alwin Poiana.

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3 Commenti

  1. marcoguarna

    PASSIONE – 1 ottobre 2016, Teatro Argentina

    Splendido spettacolo, luminoso e coinvolgente. Emio Greco, genio irrequieto della danza contemporanea, insieme al regista e coreografo Olandese Peter C. Scholten, suo partner storico nel duo EM/PC, mette in scena PASSIONE, su musica del compositore Franck Krawczyk (già con Peter Brook, nel celebre Flauto Magico), che rielabora brani dalla Passione Secondo Matteo di J.S. Bach.
    Inizialmente pensata per il solo Greco, accompagnato sul palco dal piano e dalla fisarmonica di Krawczyk, viene ora rappresentata dai ballerini del Ballet Nationale de Marseille (del quale Greco e Scholten hanno, dal 2014, la direzione).
    I 7 performer, costituiscono un ensemble multietnico, artisticamente maturo, dal livello tecnico notevole. I ballerini si succedono in scena, presentandosi con dichiarazioni in buona parte tratte dal “manifesto” di EM/PC del 1995.
    Nonostante l’importante impianto concettuale, lo spettacolo risulta avvincente e godibile per merito di una magistrale esecuzione e, forse ancor più, di una regia riuscitissima. La felice mano di Scholten, infatti, tiene coinvolto e complice lo spettatore con i giusti tempi e anche con la capacità di muoversi tra i vari registri dal sacro, al sensuale, al clownesco finanche.
    Questa Passione, con tutti i suoi registri ed il suo portato filosofico, sembra comunque cucita sul corpo dei sette di Marsiglia, che la riempiono con la propria danza, con la propria personalità. Tanto che riuscirebbe difficile pensare ad una esecuzione di un’altra compagnia: con altri piedi, altre mani, magari da una diversa coté culturale, come invece avviene senza traumi con tanti altri importanti lavori.
    La macchina scenica, nella sua essenzialità, è riuscita: simbolica, evocativa. Il pianoforte, in mezzo al palco, costituisce come il baricentro dell’azione. Sul palco, la terra, che i danzatori solcano, lasciando traccia, disegnando con il corpo anche a testimoniare di non essere concetti astratti. Poi sette ampolle, cui i ballerini si abbeverano quasi ad ispirarsi per spiegarci, coi passi, la massima ad ognuno assegnata.
    Il maestro Krawczyk scompagina e ricompone Bach, per piegarlo ai teoremi di Greco/Scholten. La riscrittura è dunque funzionale al ballo. Esegue sul palco, creando la trama alla quale i ballerini si appoggiano, fa loro da complice, da spalla e talvolta ne è vittima. Finirà coperto da un telo, le note ne escono smorzate.
    “Ho necessità di dirvi che il mio corpo è curioso di tutto, e che io sono il mio corpo”: così inizia la Passione. E’ un lavoro di sottrazione, questo di Greco, verso l’essenziale. Un movimento in direzione schiettamente anti retorica: tecnologia di improvvisazione, logica incarnata. E anche per noi, gli spettatori, c’è un precetto importante: bisogna che tu volga lo sguardo. Il pubblico ha un ruolo attivo, serve a costruire la molteplicità senza la quale non si può dare, non si può avere consapevolezza, neanche del proprio, mutevole, corpo.
    Molteplicità che è l’evoluzione del dualismo dal quale si parte, anche come metodo di scrittura per il duo di autori. Un dualismo a volte dialettico: “se scoprissi di somigliargli, me ne andrei immediatamente” (così ci confida Scholten nell’incontro prima dello spettacolo).

    Marco Guarna
    Danzaeffebi meets #REf16

    Ott 02, 2016 @ 22:05:23

  2. dimuziotiziano

    ROMAEUROPA FESTIVAL 2016
    PASSIONE, Teatro Argentina
    1 ottobre 2016

    L’esperienza di Passione coinvolge tutti i sensi rendendo complice lo spettatore nella sua totalità. Ci si allontana dalla mistica di una pura visibilità e si consolida il visibile attraverso la capacità di coglierne le intrinseche possibilità, cioè il substrato invisibile in esso racchiuso.

    Si ha l’impressione che nel lavoro di Emio Greco e Pieter C. Scholten – “sincronico” ma allo stesso tempo “indipendente” di due personalità che, nonostante la ventennale (1995-2015) collaborazione, conservano le rispettive peculiarità – ci sia il superamento di una concezione, oserei dire, meccanicistica dell’uomo a favore di una considerazione dello stesso come organismo vivente, abitato da istinti, pulsioni e da bisogni, gli stessi formulati nel manifesto – scritto da entrambi nel 1995 in occasione della nascita della loro compagnia EG | PG – e che sono alla base del progetto musicale e coreografico di Passione.

    In sostanza è come se diventasse indispensabile rendere visibile l’invisibile, istituire una relazione fisiologica tra quello che nasce da dentro e la sua espressione all’esterno – come afferma lo stesso Greco «cercare di capire di più rispetto a quello che si vede. Sotto c’è molto» – attraverso una logica che potremmo definire di corrispondenza tra interno ed esterno, tra psichico e fisico, tra sentimento ed espressione: quella corrispondenza che permette la trasformazione dell’invisibile e mutevole vita interiore in segni visibili, oggettivabili attraverso le azioni e il corpo, lo stesso che è costantemente interrogato dal coreografo. Un’imprescindibile necessità, quindi, spinge a incontrare un corpo in movimento, quasi l’urgenza di ricercare un nuovo linguaggio capace di espressività e che si affermi con prontezza alla percezione dello spettatore.

    La preparazione fisica dei danzatori – lo stesso Greco lo conferma – è tutta incentrata sul concetto d’intenzione, su come trasformare l’azione in un linguaggio chiaro e preciso non finalizzato al prodotto, ma completamente proiettato e concentrato sul processo. Un training duro e costante che impone disciplina, rigore e che richiama in lontananza, come fosse un’eco, quei principi di allenamento caratteristici della rivoluzione dei Padri fondatori della regia all’inizio del Novecento, avvicinando i danzatori del Ballet National de Marseille a dei veri e propri attori.

    Un corpo “sacro” che contemporaneamente mostra una carnalità e una sensualità – purtroppo sempre più rara – avvolgente e mai volgare. Un corpo che suona egli stesso, in perfetta sintonia con gli strumenti realmente presenti sulla scena e con i quali entra in relazione; strumenti considerati, insieme alla musica – afferma Greco – come soggetto “altro” con cui confrontarsi e dialogare.

    La rielaborazione de La Passione secondo Matteo di Bach, su adattamento per pianoforte e fisarmonica di Franck Krawczyk, si presenta quindi al pubblico come un’opera totale, armonica e intelligentemente orchestrata, in cui il rapporto tra movimento, teatro, opera e musica è tutto teso a porre l’accento su quell’impulso energico che dalla periferia raggiunge il centro (e viceversa) del corpo dei danzatori attraverso un movimento fluido, “controllato” ma nello stesso tempo consapevole quando si tratta di “giocarci”.

    Si apre, così, una vasta gamma d’immagini e visioni che catturano lo sguardo di chi è immerso in quest’architettura di emozioni, corrispondenze e differenti registri ben equilibrati tra loro; ne scaturisce una drammaturgia organica, cosciente, passionale e una plasticità scultoria dei corpi che nasce dallo studio tecnico e dalla ricerca, nel profondo, nell’arcaico e nel prelogico dell’esistenza umana, della propria essenza.

    Una ricerca – come ha tenuto a chiarire il coreografo – chiara nel senso, dalla sua genesi, attraverso il suo sviluppo, fino ad arrivare a quello che potrebbe essere un ipotetico sguardo verso il futuro; al contrario di chi, troppo spesso, si nasconde proprio dietro la parola “ricerca” (notoriamente abusata nella cosiddetta scena contemporanea) senza lasciare traccia o, perlomeno, un segno incisivo perché pensato, studiato e non lasciato all’“improvvisazione”.

    Segni che, seppur effimeri, in Passione permettono di “imprimere una memoria” attraverso le tracce disegnate dai sette performer – “materiale vivo”, incarnazione degli altrettanti sette punti della poetica di Emio Greco e Pieter C. Scholten – che s’incontrano sul tappeto di sabbia che ricopre la scena.

    Tiziano Di Muzio

    Ott 03, 2016 @ 08:38:52

  3. Deha09

    “Conta il cammino, perché solo lui è duraturo e non la meta, che risulta essere soltanto l’illusione del viaggio” (Antoine de Saint-Exupéry)

    Per noi spettatori è un po’ così, godiamo dello spettacolo finale, ma questo non è che una parte dell’ intero lavoro fatto da una compagnia e dal coreografo. A volte lo spettacolo da solo non è sufficiente per capire il significato e tutto quello che c’è dietro una performance.

    Questa volta il mio viaggio non è partito dal palcoscenico ma dallo studio, dalla sala prove. Ed è qui che ti accorgi che cosa vuol dire essere artista.
    Emio Greco e Vito Giotta – rispettivamente direttore e danzatore del Balletto di Marsiglia – hanno condotto con grandissima professionalità un workshop al Balletto di Roma (una delle tante iniziative collaterali del Romaeuropa Festival), condividendo con i ballerini intervenuti i principi fondamentali della loro cifra stilistica.

    Una lezione basata sull’allungamento e il respiro, un concetto molto semplice, ma le cose molto semplici sono le più difficili in assoluto. E un braccio che si tende non è solo un braccio che si apre meccanicamente ma è un braccio che si allunga verso l’ infinito, che trova l’energia dal contatto del pavimento. Il respiro non serve solo a prendere fiato è liberazione. Una gamba che si muove lo fa come per staccarsi dal corpo “anche senza controllo perché il controllo non permette l’apprendimento e quando poi si capisce il meccanismo si ha accesso ad ogni cosa”.

    Emio Greco è molto più di un coreografo, è un ricercatore, un Maestro. Chi incontra la sua arte sposa una filosofia di vita e lo si vede anche dalla grande complicità che c’è tra lui e i suoi collaboratori. Ogni gesto è studiato, mai buttato a caso, “il pensiero sempre connesso” e anche la parte passiva acquista un ruolo fondamentale “perché è qui che nascono le cose più interessanti”.
    In Emio è molto forte la componente classica, che resta la base di ogni ballerino, e consente di avere “una schiena flessuosa e potente che sorregge nell’azione”.
    Emio e Vito sudano e ballano insieme agli allievi, hanno occhi e consigli per tutti e il culmine si ha nella parte del “jumping”. Un salto canalizzatore di energia, propedeutico poi alla parte estensiva del corpo quasi al di là del proprio limite “senza essere timidi, perché con la fiducia permetti al corpo di non chiudersi”

    E quando finisce la lezione si conclude un viaggio che ha l’ unica regola di non farti ritornare uguale a come eri prima di partire.

    Deborah D’Orta
    Danzaeffebi meets #Ref16

    Ott 03, 2016 @ 09:32:14

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