La recensione

Le Chant de la Terre di John Neumeier al Palais Garnier di Parigi, poèm dansè su musica di Mahler.

Bellezza e morte, gioia e dolore con le étoile del Balletto dell'Opéra di Parigi in Le Chant de la Terre, ultima creazione del direttore artistico dell'Hamburg Ballet John Neumeier su musiche di Gustav Mahler, andata in scena al Palais Garnier dal 24 febbraio al 12 marzo 2015, ed ispirata alle suggestive poesie cinesi della Dinastia Tang risalenti all'ottavo secolo D.C. Una poesia danzata.

All’interno del programma teatrale previsto per i mesi di febbraio e marzo 2015 all’Opéra di Parigi, tra i grandi nomi del balletto classico e neoclassico non manca anche quest’anno quello di John Neumeier.

Il coreografo, direttore artistico dell’Hamburg Ballet dal 1973, considera il Balletto dell’Opéra come una seconda casa e ha presentato in prima il 24 febbraio scorso al Palais Garnier, Le Chant de la Terre, andato in scena fino al 12 marzo, continuando il lavoro di profondo dialogo instaurato con la musica di Gustav Mahler.

Dopo Magnificat del 1987 e Sylvia del 1997, Le Chant de la Terre è la terza creazione di Neumeier per i danzatori del Ballet, un’opera per voce ed orchestra che trae spunto da alcuni componimenti cinesi dell’ottavo secolo ed in particolare dalle poesie di Li Bai (noto in Occidente come Li Po) uno dei massimi esponenti letterari della Dinastia Tang.

Tradotti e riscritti prima in tedesco da Hans Bethge, il compositore viennese rielaborò sei di questi testi appartenenti alla raccolta Die chinesische Flöte, per creare una sinfonia che lo consolasse dal dolore per la perdita della figlia maggiore e dal senso di vuoto e di malinconia dovuti a problemi fisici che lo privarono delle sue adorate passeggiate in montagna.

La musica delle partitura quindi si carica di aspri impulsi che stanno in bilico tra la vita e la morte, il rimpianto ed il lutto, evoca immagini di nobiltà ed umiltà proprie alla condizione umana.

Cinquant’anni dopo aver danzato in The Song of the Earth di Kenneth MacMillan, che andò in scena per la prima volta a Stoccarda nel 1965, il coreografo statunitense decide di confrontarsi con il grande Canto della Terra, interpretando in modo soggettivo l’angoscia dell’uomo attraverso la fratellanza, la bellezza, la giovinezza, la caducità della vita, il ritmo ripetitivo delle stagioni e i misteri della natura.

Neumeier offre un tributo ad entrambi, al celebre coreografo britannico ed al musicista, con questo balletto che è l’ultimo di una dozzina creati sulle opere di Mahler.

Il fascino che la poesia dell’estremo oriente e la sinfonia mahleriana suscitano in lui, si ritrova nella sua arte coreografica che è rara e di sottile sensibilità. Le sue coreografie hanno spesso un che di spirituale, in questo caso rimandano forse a qualcosa di arcano e suggeriscono la volontà dell’essere umano di svelare l’eternità, sfuggire all’apparenza della morte.

Grazie alla profonda musicalità che lo caratterizza, Neumeier dà libero sfogo alle sue intuizioni ed ispirazioni, ricerca emozioni tangibili, estrapolando e modificando il linguaggio del corpo dalla partitura stessa.

Alternando a camminate solenni (che rimandano erroneamente alle cerimonie del tè tipiche della cultura giapponese) passaggi angolari, soli, trii e pas de deux, mantiene costante la fluidità di movimento e di spostamento nello spazio variando di continuo la scena.

L’atmosfera è intima, sensuale, intrisa di romanticismo tedesco e fin dall’apertura del primo canto è chiaro come nella mente del coreografo il principio e la fine sono due opposti che si annullano nel cerchio della ciclicità: il primo canto è preceduto infatti da un lungo silenzio e dall’aggiunta di un prologo per pianoforte che riassembla le note del sesto brano.

La scenografia, pura ed essenziale, è geometrica e disposta in modo prospettico, è una pedana inclinata rivestita da un manto d’erba che si riflette in uno specchio sospeso dall’alto come un cielo o un lago al rovescio. Forma un non luogo terreno ma allo stesso tempo astratto, un piccolo paradiso terreste uscito dalla penna di Saint-Exupéry.

Il gioco di luci è supportato da un disco roteante che simula il passaggio dal giorno alla notte, rappresenta l’evolversi delle fasi lunari ed il formarsi delle eclissi, come se il sole e la luna fossero due facce del medesimo astro, l’occhio del Dio creatore che osserva la sua creatura.

Neumeier conferma così la sua arte mistica.

Inebriato su quel piccolo prato dalle voci di Nikolai Schukoff e Oddr Jönsson, si sveglia “dans l’après-midi” il giovane fauno Mathieu Ganio étoile in jeans e t-shirt bianca emblema di giovinezza e spensieratezza che ricopre insieme a Karl Paquette un ruolo decisamente principale.

I costumi, disegnanti dal coreografo hanno stili differenti in base al sesso degli interpreti: i danzatori sono tutti in jeans o gilet stilizzati, esprimono forza e vitalità impossessandosi dello spazio con grandi salti viaggiati; le donne indossano lunghe vesti che richiamano i colori della terra, la loro danza è sensoriale, asseconda ed enfatizza il movimento delle gonne, le loro linee sono eleganti e morbide.

Nolwenn Daniel, è eterea, materializzazione di un sogno, è figura celestiale e piacevole, spicca nella sua mise azzurra, mentre  Vincent Chaillet, danzatore espressivo e coinvolgente, punta più sulla comunicatività del movimento, sul contenuto, rispetto al resto del corpo di ballo, soprattutto nell’apertura del quinto canto L’homme ivre au Printemps.

Per sottolineare la teatralità e donare un senso meditativo al balletto, Neumeier sceglie di inserire discrete pause di silenzi tra un brano e l’altro interrompendo quel senso di continuità che una sinfonia dovrebbe avere, ma lo fa lasciando alla danza il compito di continuare, rendendola un legante libero di esprimersi senza vincoli.

La leggibilità dei gesti è diretta in situazioni di insieme come nel terzo e nel quarto canto, in cui la danza sorge dalla terra stessa, dall’erba, e si rispecchia nel cielo, una danza naturale che scaturisce dagli abbracci e dalle effusioni in stile dionisiaco, chiari inni alla bellezza e alla tenera età, agli amori più passionali e disinteressati.

Ma Le Chant de la Terre è come accennato anche una piéce di potenza drammatica e si risolve nell’ arrivo definitivo della notte, del buio, della morte che ingoia il giorno, ed il fondale dell’enorme palco del Garnier diventa totalmente nero per mettere in risalto il duo di étoile Ganio-Paquette che struggenti si divincolano da una serie di passaggi per accogliere il candore della Pujol nell’Addio di Meng Haoran e Wang Wei, sesta ed ultima canzone.

Una poesia danzata.

Andrea Arionte

17/03/2015

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