La recensione

L’Otello di Fabrizio Monteverde per il San Carlo di Napoli

Ricreato con successo per il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, l’Otello di Fabrizio Monteverde. La coreografia è di meravigliosa raffinatezza, aderente alle intenzioni originali dell'autore e, al contempo, attuale all'inverosimile. Anbeta Toromani e Jose Perez interpretano in maniera superba sentimenti e passioni dei protagonisti della tragedia shakespeariana. Accanto a loro Alessandro Macario, Carlo De Martino, Alessandra Veronetti e il Corpo di ballo sancarliano in una appassionata esecuzione.

Raffinato e oltremodo sensuale l’Otello di Fabrizio Monteverde andato in scena al Teatro San Carlo di Napoli: atmosfere cupe e costumi al limite del feticismo rendono il quadro coreografico ammaliante e seducente in un costante gioco di attrazione e repulsione tra l’universo femminile e quello maschile. Suggestioni e riferimenti testuali ben precisi permettono di rivedere in scena l’opera shakespeariana in maniera chiara e immediatamente comprensibile se pure la scelta del coreografo sia quella di ricreare “l’essenza e l’aroma” del capolavoro seicentesco piuttosto che la trama lineare scandita in maniera temporale.

Anbeta Toromani nel ruolo di Desdemona e Jose Perez in quello di Otello interpretano in maniera superba sentimenti e passioni, turbamenti e dolori dell’anima tipici dei personaggi della tragedia della gelosia per antonomasia.

Proprio la gelosia, umana e bestiale, generatrice d’odio e testimone di sterminato amore, trapela in maniera nitida e suggerisce meccanismi, a volte consci altri invece assolutamente inconsci, che spingono l’essere umano a scelte infami rendendolo dannato e colpevole per l’eternità.

Josè Perez nei panni di Otello vive la scena in maniera plastica e fiera, come solo un uomo tanto pieno di sé e sicuro del proprio io sa essere, attraverso assoli incisivi ideati e rivisitati in modo da sposare perfettamente le doti tecniche ed espressive del ballerino cubano. Desdemona, docile e persuasiva al medesimo tempo, presenta al pubblico una Toromani furiosa nella tecnica, ma che riesce a curvare improvvisamente il proprio corpo verso registri morbidi e fluidi all’inverosimile.

Meno incisiva, a mio parere, la performance di Alessandro Macario che, nonostante la precisione e la passione tipiche del suo stile e del suo stare sulla scena, è penalizzato da assoli poco coinvolgenti in cui il ballerino non ha modo di sfoggiare la bella tecnica di gambe forti e alte come suo solito. Ad affiancare il trio dei solisti principali ci sono Carlo De Martino nel ruolo di Cassio e Alessandra Veronetti in quello di Emilia; lui ottimo interprete convincente e appassionato, lei, perfettamente in linea con il personaggio affidatole, è forte e sicura anche nei passaggi più rischiosi e sfoggia un approccio molto fisico tanto nell’esecuzione quanto nell’interazione col partner.

In tutto il lavoro Monteverde attua scelte che suggeriscono una costante contaminazione di stili e che sfociano in un generale quadro neoclassico, infatti, tenendo ben presente tutto il bagaglio culturale della danza accademica, fa suo il linguaggio tecnico del balletto intrecciandolo con lo stile contemporaneo tra lunghe linee, cadute, cambi improvvisi di traiettorie e peso rendendo irriconoscibili e inscindibili due mondi solitamente agli antipodi.

Spezzata in due sequenze l’opera di Monteverde crea un vero e proprio crescendo: più lento e morbido nella prima fase – forse anche meno innovativo dal punto di vista strettamente coreografico – diviene invece incisivo e incalzante nella seconda metà in cui il registro coreografico incarna lo strumento perfetto di investigazione dell’anima e della psiche mostrando tormenti e sentimenti delittuosi aggrovigliati in un intreccio di amore e follia.

Tra i momenti più alti dell’intero spettacolo quello delle sei coppie con le donne in punta in cui si distinguono in particolar modo l’eleganza e la bellezza del gesto di Luisa Ieluzzi e l’ultimo passo a due di Otello e Desdemona in cui si assiste ad una incessante spirale d’amore e lacerazione, rabbia e uccisione che le scelte coreografiche sanno riprodurre con rara bellezza.

Quando un classico della tragedia viene proposto in chiave contemporanea ci si può aspettare di tutto  e il risultato può essere un successo o un ridicolo tentativo andato male. In questo caso il lavoro, che in realtà risale al 1994, è senza dubbio di meravigliosa raffinatezza, aderente alle intenzioni originali dell’autore, ma, e questo lo rende ancora più interessante, attuale all’inverosimile. Amore, gelosia, possesso, desiderio carnale oggi come allora annullano le capacità cognitive rendendo l’uomo più vicino al bestiale che al divino e in questo dipinto danzato di passioni shakespeariane il corpo di ballo del Teatro San Carlo ha saputo fare dono di sé e delle sue capacità tecnico-interpretative confermando versatilità, preparazione e appassionata esecuzione.

Manuela Barbato

19/02/2015

Foto di Francesco Squeglia

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