La recensione

Nederlands Dans Theater 2 al Teatro Valli di Reggio Emilia: sold out e successo al calor bianco.

Sold out e successo al calor bianco al Teatro Valli di Reggio Emilia per lo spettacolo del Nederlands Dans Theater 2, una delle più celebri formazioni giovanili al mondo. Quattro i brani proposti: Some Other Time di Sol León e Paul Lightfoot, FEELINGS di Sharon Eyal e Gai Behar, Out of Breath di Johan Inger (tutti in prima italiana) e Solo di Hans van Manen. I giovani artisti hanno messo in mostra un ottimo livello tecnico, una grande capacità di adattamento ai diversi stili richiesti nel corso della serata e una notevole musicalità.

Mettete insieme una delle più celebri formazioni giovanili esistenti al mondo, coreografie dei più celebrati autori di danza contemporanea, un pubblico ormai da anni fidelizzato alla danza di alta scuola e il successo è assicurato. Ricetta semplice e efficace. Così ancora una volta il pubblico del Teatro Valli di Reggio Emilia non ha tardato a riempire la sala in occasione dello spettacolo della formazione giovanile del Nederlands Dans Theater, più comunemente conosciuta con l’acronimo NDT 2, dopo la strabiliante performance offerta lo scorso anno dalla compagnia ‘senior’.

Esordiamo subito lodando il livello generale della formazione che è come al solito straordinario. Di questo giovanissimo ensemble colpisce la musicalità (sollecitata in modo impressionante nel brano di Hans van Manen), l’elevato standard tecnico e la capacità di adattarsi ai diversi stili richiesti in modo che la firma d’autore sia immediatamente riconoscibile e vivida.

Ha aperto la serata Some Other Time di Sol León e Paul Lightfoot, autori anche della parte visiva del brano. E non potrebbe essere diversamente giacché in questo balletto tutto ha una dimensione danzante: infatti la coreografia si muove letteralmente di pari passo con la scenografia composta da pannelli neri che si intersecano, si allineano, si combinano continuamente nel creare nuove forme e ambienti. L’atmosfera è opprimente ma rinfrancata da squarci di luce bianca e abbagliante. Considerati i costumi femminili – neri con gonne che arrivano al ginocchio e ampi colletti – verrebbe immediatamente da pensare ad un collegio. E quale ambiente se non il collegio è sinonimo di cameratismo, silenzi e inquietudini? Il film Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir è emblematico da questo punto di vista. I due autori alternano duetti e assoli, silenzi, pause in cui alcuni danzatori restano fermi di spalle quasi a concedere allo spettatore un po’ di tregua dal continuo incasellarsi dei pannelli neri. Sol León e Paul Lightfoot insistono molto sul lavoro di gambe tramite frequenti aperture ed una pennellata ampia e ariosa mentre il lavoro con la parte superiore del corpo ha una connotazione più veloce che a tratti si fa repentina, talvolta isterica e sorprendente.

 

Se qualcuno avesse la curiosità di capire cosa si intenda con l’espressione «musicalità» in danza, guardi Solo di Hans van Manen – uno dei padri del balletto di età contemporanea e pressoché sconosciuto in Italia (misteri…) – e troverà risposte alle proprie domande. In questo brano costruito sulla Partita n. 1 per violino solo in si minore BWV 1002 di Johann Sebastian Bach coreografia e musica sono imprescindibili l’una dall’altra: tutto viaggia nella stessa direzione. Una direzione che parla di bellezza, di virtuosismo abbagliante fatto di giri velocissimi, di braccia alzate in modo inaspettato e giocoso, di corse che fendono la scena. Tutto è veloce ma mai esasperato. Musica e danza tengono lo spettatore in pugno legandolo a questo continuo inanellarsi di numeri di bravura. I tre giovani danzatori sono stati semplicemente favolosi.

 

È stata poi la volta di FEELINGS di Sharon Eyal e Gai Behar, pagina dal ritmo ipnotico e ossessivo giocata su una cifra particolarissima. La parte iniziale è caratterizzata da un assolo femminile, quella finale da un duetto maschile mentre la lunga parte centrale ha come protagonisti nove danzatori che fanno da corteo alla solista femminile. È un corteo sedotto dalla danza di questa solista fatta di movimenti del bacino pronunciati, secchi e spezzati ma che si fa via via più ampia grazie a vistosi développé scagliati nell’aria come saette. Tutto sembra avere una dimensione pagana, ancestrale: un gruppo in adorazione di una divinità, quasi a emularla e desiderarla. Anche le differenze fra sessi sono abbattute in questa pièce da sapore arcano: i costumi sono semplicissimi, color carne, come se fossero una normale continuazione dell’epidermide.

 

Ha chiuso la serata Out of Breath di Johan Inger. Per chi conosce la danza solare e giocosa di Inger, c’è subito qualcosa che stona all’aprirsi del sipario: un muro a semicerchio che domina la scena. Gigantesco e dalla presenza ingombrante questo grande muro richiama alla memoria la prua di un vascello pronto a colare a picco. Le note di sala ci dicono questo pezzo «è stato creato durante un momento difficile della vita del coreografo, quando la nascita drammatica della figlia scatenò brutalmente la consapevolezza che la vita può essere può essere estremamente fragile sin dall’inizio». Vita e morte sembrano così rincorrersi per tutta la durata del brano: corse frenetiche, mulinare di braccia, chi tenta di camminare sul bordo del muro, chi tenta di saltarlo. Chi riesce, chi no: un po’ come accade nella vita.

 

Del successo accesso e convinto abbiamo già riferito, così come della bravura dei giovani interpreti. Ricordiamo che Some Other Time, FEELINGS e Out of Breath sono stati presentati in prima italiana.

Matteo Iemmi

08/03/2017

Foto: 1.-4. Out of Breath di Johan Inger, NDT 2, ph Alfredo Anceschi; 5.-7. FEELINGS di Sharon Eyal e Gai Behar, NDT 2, ph. Alfredo Anceschi; 8.-10. Some Other Time di Sol León e Paul Lightfoot, NDT 2, ph. Alfredo Anceschi.

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