La recensione

Transverse Orientation al Campania Teatro Festival 2021: sold out e lunghi applausi per la nuova creazione di Dimitris Papaioannou.

Accolto con successo al Teatro Politeama di Napoli il debutto nazionale di Transverse Orientation, ultima e più recente creazione di Dimitris Papaioannou. La recensione a firma di Andrea Arionte ci racconta questo lavoro dalle tinte cinematografiche, densa di allegorie, che contrappone realtà e mito, moderno e antico, in una cruda rappresentazione della vita.

Tra i titoli più attesi della sessione autunnale del Campania Teatro Festival, rassegna di teatro internazionale made in Naples giunta alla XIV edizione, spicca Transverse Orientation, l’ultima creazione del coreografo visionario Dimitris Papaioannou.

Lo spettacolo, presentato in anteprima mondiale alla Biennale de la danse di Lione, ha debuttato sulla scena nazionale il 16 settembre al Teatro Politeama di Napoli registrando il sold out.

Dopo il successo riscosso nella X edizione del NTFI con The Great Tamer, Dimitris Papaioannou ritorna ad affascinare il pubblico partenopeo con un lavoro dalle tinte cinematografiche, in cui l’impianto registico ruota attorno all’allestimento scenografico e all’illuminazione, adottando cambi e soluzioni visive ai limiti dell’illusionismo.

Temi centrali di Transverse Orientation sono la metamorfosi fisica e il divenire temporale, incarnati rispettivamente nei personaggi mitologici del Minotauro e di Teseo.

La rappresentazione si apre con la scena in cui alcuni ominidi in abito scuro maneggiano una scala a pioli con l’intento di riparare un neon fulminato posto in alto a sinistra della parete di fondo. Queste figure si muovono in modo scoordinato e goffo, hanno movenze robotiche e la loro interazione è artificiale, sconnessa. Hanno un corpo lungo e scheletrico, la testa minuta e sembrano usciti dall’estro creativo di Tim Burton.

Vengono attratti come falene dalla luce intermittente, si ammassano sui gradini della scala, si afferrano, si affannano e si lasciano cadere nel vuoto, ma ogni tentativo di ripristinare l’illuminazione della lampada è vano. Non hanno occhi, non hanno concezione dello spazio, spesso sbattono contro la parete: l’unico riferimento che possiedono per orientarsi è il rumore di interferenza che accompagna il lampeggiare del neon.

Improvvisamente la luce del neon si esaurisce e la scena cambia nel momento in cui sette uomini in giacca e cravatta stile men in black fanno girare sul palco un riflettore che diffonde un’intensa luce calda come a cercare qualcosa nel buio.

Appare dall’ombra un enorme toro – un fantoccio animato dai danzatori stessi – simbolo di ciò che è arcaico e divino.

La luce ha quindi una funzione allegorica, è un filo di Arianna che rivela, conduce verso il sapere e fa da trait d’union fra le due scene rendendole l’una l’alter ego dell’altra.

I men in black innescano un acceso scontro con il feticcio e provano a domarlo: sono icone della contemporaneità in perenne lotta con le istituzioni del passato.

L’animale alla fine cede sfinito al controllo degli uomini, cosi come nella scena seguente Teseo uccide il Minotauro occupandone il labirinto.

Arrivati a questo punto di un viaggio fantastico e surreale ci si chiede se il labirinto rappresenti nella mente del coreografo greco proprio quelle strutture e quelle certezze radicate nel corso del tempo.

Da una porticina posta a destra del muro di fondo enormi blocchi di pietra rotolano sul palco come una valanga. Sono le macerie del labirinto di Cnosso che gli attori cercano di accatastare nel vano tentativo di ricostruire qualcosa, ma ogni struttura che ergono è sempre in bilico e crolla ripetutamente.

Sotto gli occhi di un dio-Minotauro (Damiano Ottavio Bigi) che seduto dall’alto compiange questo Tetris imbarazzante e drammatico al tempo stesso, gli uomini si arrendono e iniziano a ridere a crepapelle come bambini, sfidano gli equilibri e la gravità compiendo acrobazie sui massi accompagnati dalle euforiche note dell’Orlando Furioso di Vivaldi.

La contrapposizione tra realtà e mito, moderno e antico, è chiaramente allegoria del conflitto generazionale messo in scena dall’autore, in cui il giovane sconfigge il vecchio e le nuove generazioni prendono il posto dei loro padri con un senso iniziale di incoscienza ed inadeguatezza.

Il toro quindi assume il ruolo di padre e partorisce dal ventre due corpi nudi, un Adamo ed una Eva che iniziano a danzare insieme avvolti in un telo nero. L’illusione ottica creata dal telo fa sì che i due performer si fondino in un essere androgino.

Questa danza iniziatica apre la scena della metamorfosi in cui il coreografo greco trasforma i corpi dei suoi danzatori in animali leggendari come centauri e tritoni. Infatti il rumore dell’acqua messo in sottofondo rimanda all’atto della creazione della vita e quasi sembra che questi esseri nascano dal mare.

L’acqua – cosi come prima era la luce – è l’elemento chiave della seconda parte dello spettacolo e ritorna spesso in ogni sua forma in quanto è metafora dell’essenzialità.

Nel secondo atto ruba la scena l’unica danzatrice dell’ensamble Breanna O’mara, la Eva nata dal toro divino e l’Europa che in un momento di puro erotismo lo cavalcava in tutta la sua plasticità come in un quadro di Rembrandt.

La donna interpreta la dea Venere- Afrodite, sinonimo di bellezza e vanità, diventa la nuova guida dei tempi moderni.

Dapprima è statua vivente di una fontana dalla quale gli uomini in smoking attingono da bere sollevando in alto i calici, poi diventa la dea di Botticelli all’interno di una conchiglia.

Quest’ultima è una delle scene più crude della performance in quanto la dea partorisce in modo molto realistico e quasi si confonde con una Vergine Maria, portatrice ancora di speranza.

Cosi come era sorta dalle acque, la donna- dea ritorna negli abissi, e letteralmente sprofonda nel palco illuminata da un’aurea argentea, ingegnoso espediente illuminotecnico creato dal riflesso di un proiettore su una pozzanghera d’acqua ai piedi della performer.

Sembrerebbe questa la scena posta a chiusura dello spettacolo, ma sotto gli occhi increduli della platea, i danzatori di Papaioannou smantellano il palco, ammassano le pedane verso lo spazio delle quinte per rivelare l’acqua sottostante, che insieme alle luci tipiche del crepuscolo ricrea un angolo di paradiso terreste, una piccola spiaggia in cui non c’è vita ma solo il silenzio ed il principio.

Come già in Sisyphus / Trans / Form ancora una volta il genio onirico del coreografo greco invita a riflettere sul senso profondo di ciò che è essenziale lasciando un vuoto emotivo interiore agli occhi di chi osserva le sue rappresentazioni della vita.

Andrea Arionte

25/09/2021

Segnaliamo che Transverse Orientation di Dimitris Papaioannou è in scena da giovedì 23 settembre a domenica 26 settembre 2021 alle Fonderie Limone di Moncalieri nell’ambito del Torinodanza Festival e dal 1 al 3 ottobre 2021 al Teatro Valli di Reggio Emilia, ospite del Festival Aperto.

Foto: 1. Transverse Orientation di Dimitris Papaioannou, saluti finali al Teatro Politeama di Napoli per il Campania Teatro Festival 2021; 2.-12. Transverse Orientation di Dimitris Papaioannou, ph. Julian Mommert; 13. Dimitris Papaioannou, ph. Julian Mommert.

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