L'intervista

Valerio Longo: i mille volti di un danzatore.

Danzatore della compagnia Aterballetto e oggi coreografo di talento, Valerio Longo racconta il suo percorso d’interprete e autore, dagli anni di studio al Teatro Nuovo di Torino all’esordio professionale con il Balletto di Toscana diretto da Cristina Bozzolini, fino ai quindici anni di brillante carriera in Aterballetto. Nella sua storia, l’incontro speciale con Mauro Bigonzetti, la scoperta della propria vena creativa, la collaborazione con i protagonisti della coreografia internazionale come William Forsythe e Ohad Naharin, le creazioni per Aterballetto e l’esperienza con Scapino Ballet, la recente attività di docente in tutta Italia e i progetti per il futuro. Un racconto di vita sincero e appassionato che rivela un artista di grande sensibilità e in continua crescita.

Ballerino dal talento furioso, Valerio Longo ha legato il proprio destino professionale a quello della compagnia Aterballetto di cui ha danzato, dal 2001 ad oggi, tutti i principali titoli del repertorio collaborando con alcuni dei maggiori rappresentanti della coreografia mondiale come William Forsythe, Jiří Kylián, Ohad Naharin.

Interprete prediletto di Mauro Bigonzetti (dal 1997 al 2008 direttore artistico e, fino al 2013, coreografo principale di Aterballetto), Longo ne ha rappresentato in scena le migliori evoluzioni coreografiche fino all’ultimo Canto per Orfeo in cui è stato lo straordinario semidio contemporaneo al tragico bivio tra fragilità umana ed eternità divina. L’opera sembra oggi il caldo saluto di un padre che educa il figlio a percorrere le strade del mondo, sullo sfondo rituale di un passaggio di testimone tra artisti.

 

Già dal 2004, in piena carriera d’interprete, Valerio Longo ha avviato una propria ricerca coreografica che lo ha portato negli anni a creare non solo per Aterballetto (meritevole, in passato e oggi, di favorire dall’interno la nascita dei nuovi autori di danza contemporanea), ma anche per Scapino Ballet Rotterdam (dove ha creato Hasmu nel 2008) e recentemente per il Teatro Massimo di Palermo (l’assolo Plasma all’interno della serata Waiting for Ravel).

Valerio Longo ci parla di svolte e rinascite che hanno infittito la mappa del suo cammino senza mai cambiarne la destinazione, perché è stato infine il talento ad inseguirlo senza tregua incoronandosi artefice di un irrinunciabile destino. Mentre parla di sé, svela un linguaggio simile al suo stesso movimento: diretto, cristallino, ricco di giochi di parole che sembrano costruire nell’aria strutture coreografiche e sequenze ritmiche. Il tono di voce quieto, attraversato dai mille accenti della vita, fa da sfondo musicale ad un’espressione corporea totale, in quell’esatta proporzione di gesto e significato di cui solo un ballerino conosce la formula. Un racconto che Longo intreccia in maniera spontanea a quello della sua famiglia, in cui oggi, da adulto, rintraccia le origini del proprio cammino: “Mia madre era una danzatrice, sarebbe dovuta entrare in Accademia Nazionale di Danza a Roma, ma poi scelse di dedicarsi agli studi universitari, all’ISEF, e lì conobbe mio padre. Si laureò mentre io già crescevo nel suo ventre. Rinunciò alla carriera di ballerina, ma rimase un’appassionata ascoltatrice di musica classica e contemporanea trasmettendomi una profonda attenzione nei confronti dell’arte del movimento”.

Un’insolita iniziazione al balletto porta Valerio a fare la sua prima importante scelta a soli undici anni: “Ho sempre studiato arti marziali parallelamente alla danza. Per almeno tre giorni a settimana ero impegnato negli allenamenti e ho anche conseguito qualifiche importanti. All’epoca e ancora oggi, le arti marziali mi permettevano di focalizzare il movimento come espressione dell’esperienza interiore, potenziando la mia stabilità e ripristinando il mio equilibrio. Caratteristiche che poi ho ritrovato anche nell’esercizio della danza. Ad un certo punto però ho dovuto scegliere e la soluzione è stata inaspettatamente spontanea: tornando da scuola, camminavo per i boschi del Piemonte (dove la mia famiglia si era trasferita agli inizi degli anni Ottanta) assaporando silenziosi momenti di solitaria introspezione. Un giorno mi accorsi di non essere interessato alla destinazione, ma al mio stesso movimento e al modo in cui percepivo la natura circostante. In quell’attimo, si è aperta in me una necessità a cui non potevo più sfuggire, un desiderio profondo di conoscermi e di comprendere le sensazioni che stavo vivendo. Non ho potuto far altro che iniziare a muovermi, lì, da solo, a piedi nudi. Nessuna tecnica, nessuna pulsione all’attacco o alla difesa: solo ebbrezza del movimento. Dentro di me sapevo di aver scelto la danza”.

Iniziano dunque gli anni di studio al Teatro Nuovo di Torino, prestigioso centro di danza piemontese in cui Longo brucia le tappe della propria formazione studiando con alcuni dei più importanti docenti di scuola cubana e italiana (come Ramona De Saa e Daniela Chianini) ed emergendo tra i migliori talenti della sua generazione (tra il 1992 e il 1996, viene premiato nelle maggiori competizioni internazionali dell’epoca, dal Concorso Città di Rieti a Vignale Danza).

Eppure, ad un passo dalla professione, qualcosa si rompe e Valerio volge le spalle ad un destino al quale sceglie di non credere più: “A diciotto anni, dopo il servizio militare obbligatorio, scelsi di allontanarmi dal balletto e di entrare nell’Arma dei Carabinieri. Non so se si sia trattato di volontà o se, semplicemente, non abbia fatto nulla per impedirlo. Posso dire di averlo fatto per senso di responsabilità. Ogni mia scelta giovanile è stata ponderata secondo quanto i miei genitori potessero sostenere e ho sempre lavorato per non pesare sulla mia famiglia. Fare il carabiniere significava, in quel momento, intraprendere un percorso di stabilità”.

Dopo due anni di carriera militare, una nuova svolta e la seconda, definitiva rinascita: “Ho sentito, ad un certo punto, di aver dimenticato il mio corpo o di non averlo voluto ascoltare. Tutto questo influiva profondamente sulla mia serenità emotiva. Esattamente come mi era già accaduto da bambino, un giorno ho iniziato a camminare. È stata la mia stessa natura a scuotere tutto: di nuovo mi sono ritrovato a muovermi, da solo, lungo il corso di un fiume. E di nuovo ho scelto la danza”.

Nel 1998 Longo torna a ballare, prima come solista per la compagnia Danza Prospettiva di Vittorio Biagi, poi per il Balletto di Toscana diretto da Cristina Bozzolini, e infine, nel 2001, per Aterballetto. La versatilità e sensibilità che ne avevano precocemente disegnato il carattere esplodono in età adulta trasformandolo in un interprete eccellente, strumento d’ispirazione per gli autori e partner ideale per i colleghi di scena. Svolte e rinascite rivivono nella memoria del suo corpo danzante, esaltato dal contrasto tra le linee decise del volto e le naturali curve dell’anima: in scena, Longo dichiara piena sapienza del gesto, consapevolezza dinamica e sostanziale vigore espressivo.

Nel ricordare i suoi primi anni di professione, ripercorre le autostrade e i vicoli di un viaggio travolgente che, parallelamente alla personale maturazione d’artista e di uomo, ne hanno lentamente forgiato il corpo e la mente: “A vent’anni facevo parte del Balletto di Toscana, compagnia d’eccellenza in cui immaginavo il mio futuro professionale. Negli anni in cui si affacciò l’ipotesi di una possibile fusione con Aterballetto (poi naufragata, con la conseguente chiusura dello storico gruppo toscano, ndr) fui scelto da Mauro Bigonzetti per entrare a far parte del nuovo organico che all’epoca dirigeva. Nella fase di passaggio avevo tentato varie audizioni all’estero con risultati positivi, ma scelsi risolutamente di restare in Italia per un profondo senso di appartenenza alle mie origini e per l’energia con cui Mauro (ai tempi già coreografo di fama internazionale) mi scelse. Negli anni di collaborazione, ho scoperto in lui migliaia di similitudini e piccole distanze che mi hanno aiutato ad approfondire la conoscenza di me stesso e che mi hanno portato a sviluppare e consolidare un legame affettivo, oltre che artistico e professionale, con l’intera famiglia Aterballetto”.

Con il cambio di direzione del 2008 in cui Cristina Bozzolini sostituisce Mauro Bigonzetti alla guida artistica di Aterballetto, Longo sceglie nuovamente di restare in compagnia: “ Conoscevo già, per l’esperienza in BdT, le somiglianze e le differenze tra Cristina e Mauro ed è stato per me naturale seguire il nuovo corso. Certamente, con Mauro Bigonzetti si era creata una complicità ideale favorita dalle tante ore di lavoro e scambio artistico in sala e in scena. Mi sono sempre riconosciuto nelle sue creazioni e in quel fattore di ‘umanità’ che va al di là delle sue intenzioni coreografiche e che consente al danzatore di dare il meglio di sé. Il legame tra interprete e coreografo del resto va oltre ogni parola, è fatto di silenziosa fiducia e stima reciproca e cresce lentamente nel tempo. Ricordo che all’epoca la compagnia non era tanto una famiglia quanto un corpo unico, eravamo come fratelli gemelli e ognuno portava nelle creazioni qualcosa di sé; non facevamo capo a nessuno, ma nello stesso tempo ci sentivamo responsabili di noi stessi e del gruppo. Oggi invece rivivo con Cristina Bozzolini e con i miei colleghi più giovani l’esperienza che ho vissuto ai tempi del Balletto di Toscana quando avevo solo vent’anni, quella di affidarsi alla conduzione di una direttrice che indirizza la crescita artistica della compagnia, inducendo i danzatori alla scoperta delle proprie abilità e all’attenzione nei confronti dei coreografi. Il suo grande insegnamento, nel cui segno sono nato e cresciuto, è d’altronde proprio questo: il ballerino deve essere ‘famelico’, generoso, disponibile a ‘prendere’ e a ‘dare’ per far crescere la danza”.

Tra le decine di incontri con i protagonisti della coreografia internazionale, Longo non può fare a meno di ricordarne uno che lo ha profondamente segnato: “È stato per me fondamentale il lavoro con William Forsythe (nel 2002, ai tempi della ripresa di Steptext, creazione originale per Aterballetto del 1985, ndr). Con il suo studio ha cercato di far percepire a chi lavora con il corpo che esiste una tridimensionalità del movimento che sfocia nel tentativo di andare continuamente oltre i propri limiti. In particolare, è stata per me rivelatrice una sua espressione: Show me your future with your back, mostrami il tuo futuro attraverso la tua schiena. Questa frase apre ad un danzatore grandi possibilità perché invita a visualizzare un gesto del tutto nuovo, legato ad un pubblico immaginario che può osservarti da ogni direzione e che scorge l’espressività e le intenzioni di tutto il corpo. Si è trattato di un insegnamento importante per la mia personale ricerca sul movimento e ancora oggi, nelle esperienze con i giovani coreografi in compagnia, faccio tesoro di questo prezioso background”.

È Mauro Bigonzetti a scoprire e a stimolare la vena coreografica di Valerio Longo, negli stessi anni in cui il giovane ballerino ne interpreta in scena le fortunate creazioni per Aterballetto: “Probabilmente non avrei mai iniziato a creare se Mauro non mi avesse spinto a farlo – confessa candidamente Longo – Credo che osservandomi in sala, soprattutto durante le improvvisazioni, abbia colto in me una particolare autonomia creativa che lo ha convinto a darmi fiducia e ad accompagnarmi lungo un nuovo percorso. Dietro suo invito, nel 2004 ho creato Saminas (titolo nato dall’anagramma di ‘anima’), assolo per il mio collega ed eccezionale interprete Roberto Zamorano; poi è nato Pororoca nel 2005, sempre per Aterballetto. Bigonzetti mi ha in seguito offerto la grande opportunità di collaborare con Scapino Ballet per cui ho creato nel 2008 Hasmu (in dialetto calabrese ‘sbadiglio’, il ‘respiro’ della mia terra d’origine) e con cui si è creato un legame straordinario che mi ha permesso di veder assimilare il mio gesto da danzatori non-italiani e di assaporare la reazione di un pubblico internazionale. Nel 2014 ho portato in scena Nude Anime, dedicato alle donne e interpretato dalle danzatrici di Aterballetto, un lavoro delicato e sentito che probabilmente ha rappresentato un salto nella mia personale crescita creativa (per Nude Anime Longo ha ricevuto a Milano, nel 2014, il Premio speciale al Coreografo nell’evento Anima & Corpo, ndr).

“Ho anche sperimentato altri generi, come ne L’Atteso, un’opera rock su musiche di Daniele Ricci, commissionata nel 2013 da Padova Danza (diretta da Gabriella Furlan Malvezzi) con cui collaboro da anni e dove ho avuto modo di incontrare giovani danzatori di grande talento. Oggi desidero mettermi alla prova con varie collaborazioni e contaminazioni e confrontarmi anche con la fotografia, la video-danza e la regia perché amo lo studio dell’immagine in movimento, della luce e dei colori. Mi considero in una fase di costante ricerca creativa”.

Della recente esperienza al Teatro Massimo di Palermo parla con dolcezza e soddisfazione, e sulla possibilità di assumersi future responsabilità non dichiara alcun dubbio: “Ho accolto volentieri l’invito di Marco Bellone (coordinatore del Corpo di Ballo del Massimo) e ho amato molto i danzatori del teatro palermitano. C’è stato tra noi un abbraccio umano e sincero. Spero di collaborare ancora con loro e di tornare in una terra che sento particolarmente vicina. Sono aperto del resto a tutte le possibilità che si apriranno per me e non ho timore delle responsabilità, perché è proprio nel momento in cui scegli di assumerle che diventi libero di rischiare e di dare il meglio di te. Inoltre sono io stesso un padre, conosco bene la serietà, la devozione e la capacità di guardare oltre l’ordinario per immaginare prospettive future”.

Alle origini dell’ispirazione coreografica di Longo scopriamo il tentativo programmatico e costante di coniugare fisicità e intenzione, sostanza e forma: “Nella mia personale ricerca nella danza, inizialmente il corpo non esiste, sono io stesso a crearlo intorno ad un’emotività. Ricorre del resto nelle mie creazioni il tentativo di andare oltre la fisicità per raggiungere altri luoghi, quelli dell’anima. Questa idea mi pone in una condizione di costante ricerca e quello che compio in scena, per quanto espresso ‘attraverso’ il corpo, non è mai esclusivamente fisico. La scommessa è poi naturalmente quella di chiudere il cerchio dell’ispirazione e portare in scena un’opera compiuta che possa proporre al pubblico nuove prospettive. Per questo amo a volte utilizzare degli anagrammi per i miei titoli: rappresentano un cambiamento del punto di vista sulle cose e forzano al rinnovamento di se stessi”.

Tra le righe, Longo descrive anche un personale metodo di creazione che adatta ogni volta a nuove situazioni e interpreti: “Per me la danza è amare i miei danzatori. In ogni loro gesto trovo natura e sensualità. Voglio abbracciare la loro fatica e il loro abbandono. All’inizio può capitare che avverta della distanza, magari a loro del tutto ignota. A quel punto non è il linguaggio coreografico in sé, ma il ‘modo’ in cui lo articolo a poter far esprimere i miei danzatori. Quando iniziano ad ascoltare il proprio corpo, la distanza tra noi si annulla e l’abbandono si estende dal piano fisico a quello mentale fondendosi con gli accenti di un’emotività condivisa”.

Proprio all’interno di Aterballetto, Valerio Longo svolge oggi anche un’intensa attività di docente collaborando, attraverso stage e laboratori, con diversi centri di formazione in tutta Italia e partecipando ai progetti speciali Educational della Fondazione Nazionale della Danza diretti da Arturo Cannistrà. Una professione che lo coinvolge profondamente e in cui mostra il suo volto di formatore, accanto a quello di danzatore e coreografo: “Grazie ad Arturo Cannistrà e ai laboratori che conduco durante le tournée di Aterballetto per far conoscere la compagnia al pubblico più giovane, ho scoperto come canalizzare le mie potenzialità espressive per trasmettere il mio gesto. La cosa più difficile non è insegnare una sequenza di passi, ma far comprendere a chi hai di fronte quello che davvero vuoi esprimere attraverso il linguaggio del corpo. Gestisco questi diversi aspetti del mio lavoro attraverso l’empatia con i luoghi, con le situazioni e con le persone che incontro. Osservo sempre chi ho di fronte: se c’è qualcuno che vuole imparare a danzare, devo essere in grado di fornirgli gli strumenti per farlo in modo naturale; se c’è un professionista, devo condurlo alla scoperta di se stesso. A volte incontro ragazzi giovanissimi che sembrano già dei veri professionisti, con loro il tempo si azzera e lo scambio è estremamente appagante. Nei workshop che oggi conduco in varie città d’Italia (a Faenza, presso Dance Studio di Luna Ronchi, a Padova, a Latina e recentemente a Terni) cerco di creare dei piccoli tasselli coreografici che poi restino nelle strutture come un mini repertorio dal quale i giovanissimi possano trarre ispirazione e stimolo acquisendo un proprio vocabolario e bagaglio artistico”.

 

La sua voce sembra tradire attimi di emozione mentre esprime un pensiero sui giovani danzatori di oggi: “Cerco sempre di far capire ai miei allievi che il mondo della danza ha bisogno di gente che la ami e che sia pronta a mettere a disposizione il proprio talento per farla vivere e crescere. Chi non diventa ballerino può contribuire in molti modi a valorizzarla, magari attraverso la scrittura, la musica, la regia o la fotografia. È possibile trasformare la propria propensione alla danza in una forma artistica che la completi e che la sostenga. Del resto è anche questo il bello della danza, il fatto che possa essere trasportata in altri contesti pur restando sempre se stessa, naturale, spontanea, come l’abbraccio tra due amanti o l’atto di cullare un figlio. La danza è essenzialmente piacere e libertà, il giovane che vi si avvicina lo fa per esprimere la propria autenticità di individuo. Le aspettative dei singoli potranno essere varie e soggettive, ma il piacere del movimento resterà per tutta la vita. Ancora oggi, attraverso la danza, io stesso continuo a provare questo piacere, mi sorprendo e riscopro ogni giorno me stesso e gli altri. È un lavoro che non ha e che non deve avere mai fine”.

Su queste parole piene di fiducia ed entusiasmo, salutiamo Valerio Longo con il sincero augurio di ammirarne presto in scena le nuove creazioni e di vederne ulteriormente valorizzato il talento coreografico, non solo nella struttura che lo ha visto nascere e crescere, Aterballetto, ma anche nelle diverse realtà di produzione e formazione italiane e internazionali, al cui recente fermento di innovazione contribuisce attivamente nella doppia veste di interprete e autore in continua crescita.

Lula Abicca

10/09/2016

 

Foto: 1. Valerio Longo, ph. Alessandro Calvani; 2.-4. Valerio Longo in Canto per Orfeo, coreografia Mauro Bigonzetti, ph. Luca Di Bartolo; 5. Valerio Longo, ph. A. Anceschi; 6. Valerio Longo e Mauro Bigonzetti, ph. Vera Alves; 7. Valerio Longo in Hybrid, coreografia Philippe Kratz, foto A. Anceschi e N. Bonazzi; 8. Gioco barocco, coreografia di Valerio Longo, Foto Mario Sguotti; 9.-11. Nude Anime, coreografia Valerio Longo, ph. A. Anceschi; 12. Hektor Budla e Stefania Figliossi in Briza, coreografia di Valerio Longo, ph. Alessandro Calvani; 13.Valerio Longo e Alessandro Cascioli, Teatro Massimo di Palermo, foto Luca Di Bartolo; 14.-15 Plasma, coreografia Valerio Longo, interprete Alessandro Cascioli, foto Rosellina Garbo; 16. Valerio Longo durante un workshop; 17. Valerio Longo, ph. Alessandro Calvani; 18. Valerio Longo, foto Luca Di Bartolo.

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