La recensione

Giulietta e Romeo di Fabrizio Monteverde: un gremito Teatro Quirino applaude il Balletto di Roma.

Un’opera in perfetto equilibrio tra originalità drammaturgica e coerenza coreografica: è Giulietta e Romeo di Fabrizio Monteverde. Creazione del 1989, la coreografia rinasce con successo in un nuovo allestimento curato dallo stesso coreografo per gli interpreti del Balletto di Roma e non manca di emozionare ancora a trent’anni dalla creazione. Merito dell’autore e dei nuovi interpreti (protagonisti Azzurra Schena/Giulietta e Luca Pannacci/Romeo) applauditi con entusiasmo, in tutte le date romane, da un gremito Teatro Quirino.

Pieno successo al Teatro Quirino di Roma per Giulietta e Romeo, coreografia del 1989 di Fabrizio Monteverde, tornata in scena, grazie ad un’intelligente operazione di recupero, dal 2 al 7 maggio 2017 con la compagnia del Balletto di Roma. La platea gremita nelle sei date romane ribadisce, ancora una volta, l’interesse del pubblico per i grandi titoli della danza, e pare gettare nuova luce sull’avvicinamento di giovani spettatori (non ci sono sfuggiti folti gruppi di studenti e intere famiglie).

Compagnia storicamente votata alla promozione dell’estro dei coreografi contemporanei, il Balletto di Roma (diretto dal 2015 da Roberto Casarotto) segue oggi un doppio percorso produttivo, che mira da un lato a preservarne il cospicuo repertorio (legato ad autori come Fabrizio Monteverde e Milena Zullo, e recentemente ampliato con le creazioni di Paolo Mangiola e Itamar Serussi) e dall’altro a sperimentare nuovi orizzonti e spazi performativi (pensiamo alle opere di Alessandro Sciarroni o al progetto Reveals, la danza nei musei). Il successo del ritorno di Giulietta e Romeo rimarca il genio creativo di Fabrizio Monteverde, autore nel 1989, a soli trent’anni, di un’opera cardine della storia della danza italiana, e premia la compagnia romana per la cura di un nuovo allestimento che rimodella i contorni della materia coreografica senza snaturarne l’ispirazione.

Creatore dall’animo cinico, Monteverde è manipolatore di un teatro crudele, appassionato e maledetto: esploratore del profondo, indugia nell’inclemenza di un sentimento inatteso, che inganna e acceca un attimo prima di esplodere ed uccidere. La trama di William Shakespeare rivive, nella versione monteverdiana, lungo i muri cadenti di un paese sconfitto: chiuso il conflitto con il mondo, la periferia dell’umanità si affanna a ricostruire i confini della diffidenza intorno al vuoto di una pietà annientata.

I Capuleti e i Montecchi sono qui uomini e donne di un furioso Sud anni Cinquanta, prigioniero di inerzia religiosa e consuetudini matriarcali, di antiche fierezze e rinnovate frustrazioni. Li vediamo subito, all’apertura del sipario, appesi al muro delle reciproche incomprensioni: burattini dal gesto perentorio, con braccia tese e indici minacciosi profetizzano il finale già noto di un odio mortale.

Personaggio chiave della riscrittura di Monteverde, la madre di Romeo è qui il motore di una catena drammatica che non risparmia il suo stesso sangue; in sedia a rotelle, Lady Montecchi è una donna costretta all’immobilità e ossessivamente padrona di un cerchio familiare, di cui si servirà tragicamente per esorcizzare l’apparente prigionia (in pochi sanno che, all’epoca della creazione, il coreografo trovò l’ispirazione del personaggio nel fumetto Alan Ford di Max Bunker, dove l’anziano Numero Uno, in sedia a rotelle, capeggiava con piglio autoritario un gruppo di improbabili agenti segreti).

La festa in casa Capuleti, palcoscenico del primo incontro tra Giulietta e Romeo, si trasforma in una processione in abito da sera, in cui i volti mascherati mistificano l’atrocità di un mondo che ha dimenticato l’amore. Eppure qui germoglierà il sentimento, fiore di due giovani senza maschera, eredi d’odio e destinati alla passione. Giulietta, inquieta e ribelle, scoprirà il desiderio e la tenerezza, la libertà e il trasporto: la vedremo crescere velocemente, da adolescente ritrosa a donna appassionata, inconsapevole eroina di una battaglia invincibile. Romeo, amante devoto, asseconderà l’incoscienza della sposa, scivolando tra gli eventi e macchiandosi di delitto.

L’efficacia della versione monteverdiana è innanzitutto in una drammaturgia decisa, che conserva la propria originalità incastrandosi nello schema shakespeariano. Tra il bianco e il nero di un neorealismo amaro, i fotogrammi scorrono inesorabili, assecondati dalla drammatica narrazione musicale di Sergej Prokof’ev e da un rigoroso disegno luci (meraviglioso il blu della prima notte che timidamente filtra da un’unica breccia d’amore nel grigio muro dell’odio; ferocemente sinistro, il rosso dilagante all’uccisione di Mercuzio).

Lo stile coreografico è quello del ‘primo’ Monteverde, caratteristico degli anni dell’esplosione nel Balletto di Toscana, compagnia di formazione classica e vocazione contemporanea. Giulietta danza sulle punte, orientata alla leggerezza della gioventù, inizialmente rigida nel proprio verginale contegno e poi sinuosa nell’irruenza del desiderio (passaggio ben visibile nei due pas de deux centrali del balletto, dal primo incontro notturno all’ultima giornata d’amore). Alternando curve flessuose e linee taglienti, slanci e cadute, lo stile di Monteverde costruisce una dinamica categorica, che non lascia dubbi sulla propria intenzione narrativa senza ricorrere ad orpelli pantomimici.

Un’opera in perfetto equilibrio tra originalità drammaturgica e coerenza coreografica, aderenza alla partitura e modernità rappresentativa. Ma soprattutto, un’opera che non manca di emozionare, ancora, a trent’anni dalla creazione: ci scopriremo disarmati di fronte alla nascita di un amore giovane, impazienti per un nuovo incontro, e ancora una volta immagineremo un finale diverso sperando nel risveglio dei due amanti infelici.

Merito del coreografo, ma anche dei danzatori del Balletto di Roma, nuovi interpreti di una coreografia che li supera in età anagrafica. Azzurra Schena consegna al personaggio di Giulietta i vezzi di una fanciulla benestante, incline alla ribellione e votata alla lotta per la propria affermazione: la troviamo molto brava, nella prima scena, sospesa su un letto di metallo (freddo premonitore di una morte imminente), trepidante d’adolescenza smaniosa. Ottima l’interpretazione nel finale, dal traumatico risveglio alla scoperta dell’amato morente, fino all’epilogo straziante.

Le parti più coinvolgenti restano i passi a due con Romeo, interpretato da Luca Pannacci, esperto solista del Balletto di Roma al debutto nei panni del protagonista. Tratti e vigore mediterranei fanno di Pannacci un Romeo appassionato che arde nel corpo di un desiderio impellente. Dal contrasto tra il volto gentile e il gesto tenace nasce una tensione drammatica estremamente efficace, che esplode nella scena di una notte d’amore di cui ricorderemo, con triste dolcezza, gli ultimi e rubati contatti.

Tra gli altri interpreti segnaliamo Raffaele Scicchitano, ottimo nei panni di un sardonico Mercuzio, prima vittima di un’ingiustificata guerra e voce premonitrice di un finale inevitabile; abile danzatore, Scicchitano associa alla tecnica pulita una musicalità raffinata, che ne impreziosisce ogni singolo passaggio in scena. Con lui Marcos Becerra, carismatico ballerino di formazione cubana dalla tecnica potente, perfetto nel ruolo di Tebaldo ed efficace soprattutto nello scontro con i Montecchi. Ottima anche Monika Lepistö, Lady Montecchi dallo sguardo inclemente, fiera padrona di un meschino piano di rivincita. E poi i solisti della compagnia, freschi interpreti di una coreografia dal successo trentennale: Roberta De Simone, Stefano Zumpano, Placido Amante, Valentina Pierini, Eleonora Peperoni, Eleonora Pifferi.

Lula Abicca

13/05/2017

Foto: Balletto di Roma, Giulietta e Romeo di Fabrizio Monteverde.

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