La recensione

La bella addormentata di Jean-Guillaume Bart. Grande successo per il ritorno del balletto classico al Teatro dell’Opera di Roma

Accolto con grande calore da parte del pubblico La bella addormentata di Jean-Guillaume Bart al Teatro dell’Opera di Roma. Questa versione esalta la bellezza di un grande classico, rinnova senza stravolgere il balletto rendendolo esteticamente e drammaturgicamente perfetto. La pantomima torna protagonista di una narrazione chiara e lineare, ben accordata sulle svolte drammatiche del racconto e della partitura. La favola scorre con una chiara fluidità narrativa. Rinnovati e approfonditi i personaggi: non solo la bella Aurora e il suo principe ma anche la cattiva Carabosse, qui donna dal fascino sublime, e la buona Fata dei Lillà presente in tutto il balletto. Da non perdere le recite in tour al Teatro La Fenice di Venezia dal 10 al 14 maggio 2017.

Questa volta, il nostro racconto parte dal pubblico: la platea e i palchi stracolmi del Teatro Costanzi, in occasione delle recenti rappresentazioni de La bella addormentata del Teatro dell’Opera di Roma, non potevano certo lasciarci indifferenti e sembrano, al contrario, imporci qualche riflessione. Il titolo in scena, nella raffinata versione “filologica” di Jean-Guillaume Bart, era indubbiamente di grande richiamo ed era stato ben introdotto dalla direttrice del Corpo di Ballo Eleonora Abbagnato come “il vero repertorio classico”. Gli spettatori sono accorsi numerosi, e già il dato rincuora sulle sorti del balletto, probabilmente molto più vicino ai gusti del pubblico di quanto non credano le istituzioni italiane. Ma se non sconvolge l’affluenza (francamente eccezionale) alle sette recite in programma, certamente incuriosisce il non comune coinvolgimento del pubblico nella messinscena del grande classico.

Parliamo di un’opera del 1890, frutto del genio coreografico di Marius Petipa e di quello musicale di Pëtr Il’ič Čajkovskij, accompagnati al successo da una terza mente lungimirante, quella di Ivan Vsevolozhsky, direttore dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo. Ispirato alla fiaba di Charles Perrault (1697), il balletto diluiva la parabola di formazione della protagonista Aurora lungo un secolo di storia francese, dal tramonto del 1500 all’alba del regno glorioso di Luigi XIV. L’omaggio al Re, Sole della Francia e del Balletto, ben si prestava nel tardo-romanticismo russo alla rievocazione dei cerimoniali tanto amati dalla corte pietroburghese e ribadiva, tra le righe, l’elegante codice estetico di Petipa, azzerando d’un colpo gli sfacciati virtuosismi italiani e le spettacolarità dei ballet féerie. Per il coreografo si trattò di colpire i rivali con le loro stesse armi, vincendo a mani basse al loro gioco: quello di comporre un balletto “spettacolare” e di evidente difficoltà tecnica, che conservava tuttavia l’accuratezza della scuola francese, insieme alla linearità drammaturgica, al valore interpretativo e alla ricchezza stilistica tipici di Petipa.

Oggi come allora, è il pubblico a rivelarci il senso di quello che non può che dirsi un capolavoro: è nel silenzio irreale che circonda le prime note dell’orchestra, è nelle espressioni d’apprensione alla comparsa della fata cattiva e in quelle di sollievo alla sua dipartita, è nell’applauso a scena aperta alla fanciulla che bacia il suo eroe, è nel fischiettio dello spettatore trasognato che lascia il teatro intonando un valzer famoso. Per i presenti al Costanzi, il sonno della bella dormiente si è trasformato in un viaggio semionirico nel tempo, un salto immaginario nella San Pietroburgo di fine Ottocento o persino nella corte del Re Sole, a metà strada tra la storia e la fantasia, tra la vita e il suo racconto. Per noi, è stata l’immagine chiara di un grande ritorno del balletto nella sua forma migliore, esteticamente e drammaturgicamente perfetta.

Il merito del coreografo Jean-Giullaume Bart è proprio nell’aver colto il desiderio del pubblico di tornare a vivere il repertorio classico anche attraverso i codici espressivi appartenenti ad un’altra epoca; la pantomima, originariamente inglobata nel balletto e poi resa nel tempo un futile orpello tra virtuosistiche esibizioni, torna qui protagonista di una narrazione chiara e lineare, ben accordata sulle svolte drammatiche del racconto e della partitura. Vediamo davvero quella fluidità narrativa auspicata da Jean-Guillaume Bart, abile nel fornire ulteriori spunti interpretativi attraverso l’approfondimento di alcuni personaggi: Carabosse, temibile autrice dell’incantesimo soporifero, è qui donna dal fascino sublime e vendicatrice di antichi torti (apprendiamo, nelle prime scene del balletto, che la fata è stata in passato cacciata dal Re, padre di Aurora, avido di terre e potere); in linea con l’ambigua sovrapposizione del bene e del male, la bellezza di Carabosse potenzia l’effetto dirompente del suo maleficio, che si carica del giusto senso della “riparazione”, ai danni ingiusti dell’innocente Aurora. Da parte sua, il Bene, rappresentato dalla Fata dei Lillà, non abbandonerà mai la scena, ergendosi a definitivo giudice della controversia e risolutrice della trama.

E poi c’è Aurora, la fanciulla bellissima dal nome che rischiara i cieli della rinascita, l’adolescente ingabbiata nel proprio sonno alle soglie dei primi fremiti d’amore, destinata ad aspettare un secolo prima di sbocciare al sentimento e alla responsabilità dell’età adulta. Un ruolo difficile, con cui poche ballerine sono in grado di misurarsi per l’estrema complessità tecnica con cui Petipa disegna il personaggio e per la sottile trasformazione degli stati d’animo a cui va incontro nell’arco di tre atti: al suo ingresso è ragazza spensierata, ritrosa nei confronti dei principi corteggiatori, ferma nel suo aplomb sbarazzino (Adagio della Rosa) immaginandosi già donna e futura regina; sarà poi visione evanescente nei sogni del suo eroe salvatore (secondo atto), e infine adulta innamorata, non più sola e addormentata, ma salda artefice del proprio regale destino (pas de deux del terzo atto). Una progressione interpretativa questa molto chiara in questa versione di Jean-Guillaume Bart.

La rappresentazione dello scorso 11 febbraio 2017 al Teatro Costanzi era per noi motivo di duplice attesa: per il ritorno in scena, nei panni del Principe Désiré, di Claudio Cocino dopo la nomina a Primo Ballerino dell’8 febbraio, e per il debutto nel ruolo di Aurora della solista Susanna Salvi.

“È tutto ciò che volevo” ha detto Claudio Cocino poco dopo la nomina, con gli occhi colmi della gioia di un attimo e dell’impegno di una vita intera. E a noi sembra proprio di vederlo quel sogno cresciuto negli anni, in quel corpo plasmato dalla disciplina più ferrea, in quella sicurezza silenziosa e mai spavalda che ne fanno un principe dalla tecnica cristallina e dallo sguardo rassicurante. La sua entrata nel secondo atto è immagine di virtù e spirito d’avventura, in linea con un personaggio destinato a risvegliare un regno dal torpore di un secolo. Il Desiderio, nascosto nel suo nome, ne muoverà le azioni e le intenzioni, conducendolo infine all’Aurora della completezza amorosa. Apprezziamo in Cocino l’essenzialità tecnica che poco concede ad esplosioni virtuosistiche, esaltandone per contrasto il pacato, ma luminoso perfezionismo. Il primo ballerino affronta con grazia e certezza grandi salti, tour en l’air e pirouettes, senza tralasciare la bellezza di brevi passaggi di gambe e braccia, ben curati nei dettagli e negli accenti.

La solista Susanna Salvi (già interprete di diversi ruoli principali e da noi segnalata per l’ottimo debutto in Odette/Odile nel recente Lago dei cigni di Christopher Wheeldon), affronta qui un ruolo a lei congeniale. Non possiamo fare a meno di rimarcare nella ballerina l’inconsueta capacità di oltrepassare i confini della tecnica per esplodere di una caratteristica attitudine interpretativa. Salvi è un genere di danzatrice a cui forse non siamo più abituati, offuscati da decenni di virtuosismi estremi: la solista non indugia in pose accademiche estreme (pure esteticamente perfette), ma ne assapora cautamente i raccordi, consapevolmente protagonista di frasi coreografiche compiute ed eleganti. Peculiare nella ballerina, un accattivante piglio di risolutezza, favorito dalla certezza tecnica e acuito da un’imprevedibile audacia: lo notiamo nei sicuri aplomp in attitude del primo atto e soprattutto nel pas de deux del terzo atto, in cui si lancia temeraria tra le braccia di Désiré/Cocino (a sua volta saldissimo in prese di millimetrica precisione). La troviamo deliziosa nel prendere coscienza della propria età e femminilità nel corso degli atti, in cui ci sembra di vedere il riflesso del suo stesso percorso d’artista, avviato oggi verso una consapevole e crescente maturazione.

Un’ottima prova in questo ruolo Susanna Salvi l’ha offerta agli spettatori anche il 14 febbraio 2017 nella recita che ha visto il più che gradito ritorno all’Opera di Roma di Vito Mazzeo,  da troppi anni assente su palcoscenico capitolino. Diplomato scaligero sotto la direzione Prina, ballerino dell’Opera di Roma dal 2007 al 2010, Vito Mazzeo è volato prima al San Francisco Ballet dove è stato promosso Principal Dancer dopo solo sei mesi (primo italiano a ottenere il titolo) e poi all’Het National Ballet in Olanda dove è tutt’oggi apprezzatissimo Primo ballerino. Mazzeo, in questa bella addormentata,  è un vero Principe da favola: altissimo, bellissimo, dalle linee perfette e dai salti sospesi, leggeri e volati. Magnificamente in musica, riempie la scena con uno sguardo e dà senso anche al più piccolo gesto.  Perfetto nel personaggio è un principe Desiré sicuro, elegante e meraviglioso.

Accanto ai protagonisti, si sono messi in luce numerosi elementi del Corpo di ballo. Tra le variazioni del Prologo, abbiamo particolarmente apprezzato l’11 febbraio le interpreti Giovanna Pisani (Fata della Vivacità) e Federica Maine (Fata della Generosità) per la puntualità tecnica e stilistica, e la giovane Arianna Tiberi, Fata del Temperamento dal piglio deciso e scattante, meticolosa negli accenti e nei piccoli passaggi; il 14 febbraio ottima la prova di tutte le cinque fate: Sara Loro, Roberta Paparella, Marta Marigliani, Giogia Calenda e Elena Bidini, il che dimostra una netta crescita nel corpo di ballo femminile capace di eseguire con precisione variazioni non certo facili dal punto di vista tecnico e tutte giocate su piccoli, veloci e insidiosi passi e passaggi.

Particolarmente arduo e complesso tecnicamente il ruolo della Fata dei Lillà, figura carismatica presente in tutti e tre gli atti. In questo ruolo Elena Bidini, conduce la trama con portamento autorevole e con estrema cura degli spazi scenici, abilmente in grado di alternare le espressioni di dolcezza nei confronti di Aurora e gli attimi di durezza contro Carabosse. Nella difficile variazione del Prologo, Bidini sfodera una tecnica essenziale e precisa, particolarmente accurata nei port de bras e negli épaulement. In questo stesso ruolo non le è stata da meno nella recita del 14 febbraio Federica Maine che ha offerto una convincente interpretazione accompagnata da una grande sicurezza tecnica.

Piacevoli sorprese, la Carabosse di Roberta Paparella l’11 febbraio e di Annalisa Cianci il 14 febbraio. Fascinose e malefiche nella giusta misura hanno interpretato entrambe con grande carisma l’antagonista della Fata dei Lillà. Il loro personaggio inquieta e attrae, incuriosisce e spaventa, e ben si inserisce nel rinnovato contesto drammaturgico di Jean-Guillaume Bart che intende dare spessore e forza ai diversi personaggi.

Numerosi i danzatori che si sono distinti nel terzo atto che celebra le nozze tra Aurora e Desiré, un divertissement che recupera i personaggi delle fiabe.  Nuovamente brave Giovanna Pisani  e Sara Loro, entrambe musicali e aggraziate nelle linee nel ruolo Principessa Florina. In coppia con loro il giovane Giacomo Luci, Uccello Blu dal balzo leggero e vivace (ottimi gli entrechat della variazione) e nello stesso ruolo un ottimo Alessio Rezza. Deliziosi Eugenia Brezza e Massimiliano Rizzo nel passo a due dei gatti, convincenti Michela Viola e Marco Marangio nei ruoli di Cappuccetto Rosso e il Lupo, delicati e perfettamente nel ruolo Cristina Mirigliano e Loick Pireaux in quelli di Cenerentola e del suo principe.

Ottima nel complesso l’intera esecuzione da parte di tutto il Corpo di Ballo di Eleonora Abbagnato, alle prese con lo stile denso e multisfaccettato di Petipa, ben riportato all’originaria freschezza da Jean-Guillaume Bart. Altrettanto ottima la prova dell’Orchestra, soprattutto nella recita del 14 febbraio con la splendida direzione di David Coleman.

Ci auguriamo che questa bella versione di Bella Addormentata torni per più recite anche nelle prossime stagioni all’Opera di Roma. E’ un titolo e una versione questa che merita di rimanere nel repertorio del Teatro Costanzi. Nell’attesa consigliamo di non mancare alle recite che il Corpo di ballo dell’Opera di Roma effettuerà al Teatro La Fenice di Venezia dal 10 al 14 maggio 2017.

Lula Abicca e Francesca Bernabini

18/02/2017

 

Foto: 1.-2. Susanna Salvi e Vito Mazzeo, III atto La bella addormentata di Jean-Guillaume Bart, ph. Yasuko Kageyama, Teatro dell’Opera di Roma; 3. Susanna Salvi e Claudio Cocino ne La bella addormentata, ph. Yasuko Kageyama – Teatro dell’Opera di Roma; 4.-18. La bella addormentata di Jean-Guillaume Bart, ph. Yasuko Kageyama, Teatro dell’Opera di Roma.

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