La recensione

Sulla felicità di Sosta Palmizi. Sorriso, ironia e bellezza aprono la rassegna Il teatro che danza del Teatro di Roma.

Il collaudato confronto Sulla felicità di Giorgio Rossi ha aperto con grande successo, al Teatro Argentina, la terza edizione della rassegna romana Il Teatro che danza. Tra tenerezza, ironia e comicità, gli artisti associati di Sosta Palmizi offrono al pubblico le loro personali storie e visioni felici.

Uscire dal teatro sorridenti e, perché no, anche felici. L’effetto contagioso del lavoro Sulla felicità di Giorgio Rossi, fondatore e direttore artistico di Sosta Palmizi, è evidente nelle espressioni del pubblico che ha assistito alla presentazione romana. Si è aperta così, con il sorriso, il 13 giugno 2017 al Teatro Argentina di Roma, la terza edizione della rassegna Il teatro che danza, a cura del Teatro di Roma che si svolge tra gli spazi dei teatri India e Argentina. Obiettivo della rassegna un articolato viaggio coreografico tra realtà e visioni differenti in cui il filo conduttore è il complesso tema della relazione tra gli individui. Si realizza quindi un avvio dalle premesse appaganti, con questo spettacolo che dal 2014 assapora le più diverse location tra parchi, cortili, teatri, continuando a confrontarsi su quale sia il senso personale della felicità oggi, tra il contraddittorio alimentato dai propri limiti e debolezze.

Come tradurre in parole e danza la felicità, come renderla visibile, quasi tangibile? Questo l’obiettivo di un lavoro che nasce da uno studio in più tappe e dal confronto aperto tra gli artisti che ne prendono parte. Non vuole però alimentare una impalpabile dissezione filosofica su cosa sia la felicità, ma snodarsi attraverso un percorso vero e proprio di sensazioni rivissute ogni volta sul palcoscenico con lo stesso stupore del conoscere la prima volta le cose. A cominciare dal titolo che non è “La” felicità, ma “Sulla” felicità: nessuna verità assoluta ma una sospensione su questo concetto che ciascuno dei perfomer sul palco prova a riempire (e lo spettatore empaticamente con lui) utilizzando la propria concezione personale, a volte inesplorata, oppure ironica o anche disincantata.

In scena 10 personaggi, a prima vista strampalati e bizzarri, fortemente caratterizzati nelle vesti, movimenti e linguaggi; tra racconti, canti, musica e danza alternano con la stessa nonchalance situazioni familiari e surreali. Ed è così che ogni spettatore inizia a riconoscersi in ciascuno di essi, a prescindere che sia la casalinga-poco-disperata con tanto di scopettone, o il kamikaze intrattenitore la cui cintura esplosiva è costituita da bambole e bottiglie di plastica, pronto a far detonare l’intero teatro di risate. Ce n’è quindi per tutti: dalla logorroica diva d’oltreoceano che anela a una dimensione più spirituale senza voler abbandonare il suo rossetto Chanel nero ciliegia, al manager coatto con tanto di pelliccia e scintillanti occhiali da sole, pronto a fare lievitare i propri interessi. E ancora la giornalista imbranata di falso assalto, la depressa cronica, la ragazzetta tutta fitness, la fatalona di dubbia sensualità, per arrivare al tenero Gennaro che deve ancora capire cosa sia per lui la felicità. Si interrogano vicendevolmente, esplorano storie e significati, sperimentano l’abbandono e la fiducia reciproca perché felicità è anche lasciarsi cadere sicuri che qualcuno è pronto a prenderci nelle sue braccia.

Chiamati a destreggiarsi tra le minacce consumistiche e narcisistiche che minano la loro agognata felicità, i nostri eroi sono costretti a difendersi, a sviluppare anticorpi alimentati solo dal vivere in una riacquistata consapevolezza le emozioni del momento, e, citando Pina Bausch, a danzare, danzare, danzare… unico possibile antidoto alla smaterializzazione.

Ed eccole queste schegge impazzite di amore, volano come uccelli liberati, invasati dalla gioia non possono fare a meno di gridare a tutti la propria felicità, insegnando che di felicità – a volte – si può anche morire. In un quadro dove sono annientate le barriere sociali, culturali o generazionali, assistiamo a una Babele liberata che si trasforma nella “feli-città” ebbra di piacere e aperta alla spontaneità di ognuno. L’esaltazione della genuinità che sfocia nell’accettazione delle proprie incapacità, per essere semplicemente così come si è e godere della bellezza.

E di questa bellezza e leggerezza raffinata abbiamo sempre costante bisogno. Grazie a Sosta Palmizi, grazie Giorgio Rossi e grazie agli autori e danz/attori Mariella Celia, Eleonora Chiocchini, Olimpia Fortuni, Gennaro Lauro, Francesco Manenti, Daria Manichetti, Fabio Pagano, Valerio Sima, Cinzia Sità e Cecilia Ventriglia, per avercelo ricordato ancora una volta.

Giannarita Martino

Twitter @giannarita

 

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