La recensione

La Bella Addormentata secondo Alexei Ratmansky alla Scala

La Bella addormentata nel bosco di Marius Petipa si è risvegliata al Teatro alla Scala di Milano ad opera di Alexei Ratmansky, riportandoci indietro di molti anni, esattamente al 1921, allorché Sergej Diaghilev decise di riallestire il balletto a Londra. Il risultato è quello di proporre un modo di ballare cui non siamo abituati: una concezione di balletto levigata e priva dei virtuosismi plateali. Vincente la scelta del cast che vede schierati Svetlana Zakharova nei panni di Aurora e il giovanissimo Jacopo Tissi come principe Désiré; ottima la prova dell’intero corpo di ballo scaligero.

Aurora si sveglia alla Scala ed è subito festa. Un risveglio che l’ha portata indietro di molti anni, esattamente al 1921, allorché Sergej Diaghilev decise di riallestire il balletto La bella addormentata nel bosco a Londra: il celebre impresario dei Ballets Russes si avvalse della consulenza di Nikolaj Sergeev  – che aveva annotato la coreografia che Marius Petipa creò nel 1890 al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo – e di un nuovo allestimento di Léon Bakst. Oggi la Bella torna a vivere avvalendosi delle medesime fonti: ancora la notazione di Sergeev (il revival coreografico e le integrazioni sono ad opera di Alexei Ratmansky), ancora le scene e i costumi di Bakst a cui si ispira Richard Hudson per questa nuova produzione che vede coinvolti il Balletto della Scala e l’American Ballet Theatre. Già nel 1999 il Teatro Mariinskij riprese le notazioni di Sergeev basandosi per il décor sui bozzetti che Ivan Vsevoložskij, allora direttore dei Teatri Imperiali, realizzò nel 1890.

Il risultato è quello di riportarci ad un modo di ballare cui non siamo abituati oggi: linee che non si proiettano all’infinito, gambe che non devono superare altezze vertiginose… insomma, questo balletto dai contorni lievi e torniti e dall’ordito tenue come l’organza ci fa intendere pienamente il timore che Marius Petipa espresse in più di un’intervista: ovvero che il balletto diventasse un «circo». Preoccupato dalle “eccentricità” delle ballerine italiane che a più tornate vennero a ballare a San Pietroburgo, Petipa seppe però di non poter prescindere dal virtuosismo delle nuove arrivate cercando di incanalarlo nel nascente stile russo. Infatti fu ancora un’italiana a vestire per la prima volta i panni di Aurora a San Pietroburgo: fu una ballerina “speciale” però. Perché Carlotta Brianza seppe accontentare i non facili gusti del pubblico del Mariinskij. La Brianza viene infatti considerata come la prima ballerina italiana a ballare secondo lo stile russo: quindi sì grande virtuosa ma non involgarita dalle angolosità delle connazionali che l’avevano preceduta.

Cercare le caratteristiche tecniche, estetiche e poetiche di una ballerina come la Brianza in Svetlana Zakharova – l’étoile scaligera protagonista di questa Bella – è pressoché impossibile. E i motivi in questi giorni di tam tam mediatico sono già stati detti e ridetti: un corpo di una ballerina di oggi (tutto sviluppato in verticale) non è in alcun modo assimilabile ad una ballerina di fine ‘800. L’impegno di Zakharova di adattarsi a questo stile è però innegabile e alla fine risulta vincente. Su un punto però è parsa più esitante: gli equilibri in attitude per cui la Brianza era così celebre. Quindi negli ultimi quattro (quelli cui si aggiungono anche le promenade) che fanno terminare l’Adagio della rosa e in quello (davvero difficilissimo) che chiude la prima parte della scena della visione l’aplomb era tutt’altro che irreprensibile e siamo stati ben lontani dai prodigi che altre ballerine (Fracci, Cojocaru, Obraztsova, Novikova…) ci hanno offerto nel medesimo ruolo. Però è stato un vero piacere vederla lontana dalle solite iperestensioni di cui spesso sembra compiacersi. Nel passo a due dell’ultimo atto, in particolare, è parsa davvero musicale ed elegante nell’utilizzo della tecnica terre-à-terre.

L’accompagnava un principe inatteso, dopo le defezioni di David Hallberg e Sergei Polunin: Jacopo Tissi, giovanissimo ballerino di formazione scaligera. Per nulla intimorito, è apparso subito raffinato se non ottimo nello ‘snocciolare’ con bravura e velocità le piccole batterie che prevede la variazione del passo a due. L’ultima scelta, a conti fatti, si è quindi rivelata azzeccatissima.

Nicoletta Manni nei panni della Fata dei Lillà è stata stilisticamente irreprensibile: un ottimo compromesso tra fisicità contemporanea e stile Petipa. Una ballerina che fa la differenza perché sa come e cosa deve ballare. Bravissima. Nelle versioni più celebri del balletto (come Mariinskij e Bolshoi) il personaggio della Fata viene connotato dalla grandezza e dall’imperiosità del port de bras e dai frequenti pas de bourrée  a sottolinearne il potere benigno e salvifico. Nell’edizione scaligera ha una rilevanza maggiore l’uso della pantomima, quasi a rendere più umana la Fata principale, che risulta addirittura buffa nel rimbrottare Carabosse. Bisogna però sottolineare come l’intera pantomima utilizzata sia sempre garbata e funzionale come, ad esempio, nel mimare con la mano la crescita della principessa da parte di tutte le fate durante il Prologo. Oggi la pantomima è spesso gesticolare o alzare braccia al cielo: anche queste sono lezioni di stile. La pantomima si fa invece più teatrale nel connotare Carabosse, un magnifico Massimo Murru, che crea un personaggio impattante e istrionico.

Nel gioiello di virtuosismo che è il passo a due dell’Uccello Azzurro e della Principessa Fiorina, Angelo Greco e Vittoria Valerio sono stati leggeri e raffinati. Ma più in generale, occorre dire che l’intera compagine scaligera guidata da Makhar Vaziev è apparsa ottima, così come gli allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala diretta da Fréderic Olivieri: un corpo di ballo realmente degno di poter far rivivere il mito della Bella addormentata. Altrettanto valido l’apporto musicale di Vladimir Fedoseyev nel dar vita al ‘sinfonismo’ di Čajkovskij.

Nell’intervista acclusa al programma di sala, Ratmansky dice di non essere sicuro di lavorare al Lago previsto per la prossima stagione come ha fatto per la Bella: sia perché le notazioni sono più lacunose sia perché altri apporti successivi (come quelli di Agrippina Vaganova) sono troppo importanti da ignorare. Questo potrebbe rappresentare un punto di arrivo tra «filologia» e «stile».  Già, perché la filologia stricto sensu, è praticamente inapplicabile ad un arte così “irripetibile” come la danza: del resto, lo stesso Ratmansky ammette ciò che è stato possibile ottenere dalle notazioni e ciò che è andato perso. Quindi, chi meglio di Ratmansky, profondo conoscitore dello stile imperiale, potrebbe creare una coreografia consapevole però delle capacità tecniche ed estetiche dei corpi di ballo attuali?

Chiudiamo ricordando che questa nuova Bella ha mandato in pensione quella di Rudolf Nureyev. Se Milano sembra oggi restia a conservare il patrimonio coreografico del Tartaro Volante, Vienna – guidata oggi da Manuel Legris – è la più propensa a conservarne il lascito coi recenti riallestimenti di Lago e Schiaccianoci.

Il successo è stato vivo e caloroso per tutti gli interpreti: e non poteva essere diversamente.

Matteo Iemmi

05/10/2015. La recensione si riferisce alla replica del giorno 2 ottobre 2015.

Foto: La Bella Addormantata  di Alexei Ratmansky. 1.-2. Svetlana Zakharova nel ruolo della Principessa Aurora; 3. Svetlana Zakharova e Jacopo Tissi; 4. Jacopo Tissi nel ruolo del Principe Désiré; 5. Nicoletta Manni nel ruolo della Fata dei Lillà; 6. Jacopo Tissi e Nicoletta Manni; 7.-8. Massimo Murru nel ruolo di Carabosse; 9. Vittoria Valerio e Angelo Greco nei ruoli della Principessa Florina e dell’Uccello Blu; 10. Alessandra Vassallo, Chiara Fiandra, Virna Toppi e Marta Gerani, le Pietre Preziose; 11.-12. Corpo di ballo Teatro alla Scala. Tutte le foto sono di Brescia e Amisano, Teatro alla Scala.

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